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Lunedì, 29 Aprile 2024
Si spara anche per sciocchezze

Una parola di troppo, un certificato tardivo o un furtarello da vendicare: la lunga scia di omicidi "futili"

La morte di Roberto Di Falco, avvenuta in circostanze tutte da chiarire, riporta alla mente i tanti delitti dal movente, all'apparenza, incredibile

Qualche frase di troppo che etichettava come "infame" un compaesano, un certificato medico rilasciato in ritardo, una stradella contesa, il furto di un trattore o uno sguardo ritenuto minaccioso. A volte è bastato davvero poco per spingere a premere il grilletto e uccidere. Sono tanti gli omicidi dal movente all'apparenza incredibile che hanno sporcato di sangue, negli anni, la provincia agrigentina.

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La morte di Roberto Di Falco, avvenuta venerdì scorso, in circostanze ancora da chiarire che, comunque, fanno ipotizzare agli inquirenti un regolamento di conti (finito male per gli attentatori) per un debito non saldato, riportano alla mente numerosi omicidi provocati da motivazioni banali.

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Il 28 novembre del 2012 un settantenne favarese bussa alla caserma dei carabinieri e dice con tono serafico al piantone: "Ho ucciso Lillo Picciuni, ci detti na chiummata". Lillo Picciuni era il soprannome di Calogero Palumbo Piccionello, noto e affermato imprenditore nel settore delle sale scommesse. L'omicida reo confesso non era un balordo ma un costruttore con commesse e cantieri in mezza Italia, fra cui il raddoppio della strada statale 640, l'opera pubblica più importante degli ultimi decenni nell'Agrigentino.

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La "chiummata", ovvero i colpi esplosi con la pistola, consegnata al militare, gli sono costati 30 anni di carcere che non ha finito di scontare morendo durante la detenzione, non ininterrotta a causa di un errore giudiziario che aveva comportato la scadenza dei termini di custodia cautelare. Quando Baio ha raccontato agli inquirenti il motivo per cui aveva ucciso Palumbo Piccionello non gli ha creduto nessuno. "Girava una lettera anonima che lo accusava di essere uno strozzino, Picciuni diceva nei bar che l'avevo mandata io ma non sono un infame. Bisognava tappargli la bocca". "Non può essere questo il motivo, troppo banale. Inverosimile. Copre qualcuno? Forse un familiare? È stato ingaggiato dalla mafia?". Tante ipotesi ma alla fine gli inquirenti hanno capito che aveva detto la verità. Aveva ucciso perché era stato preso per "infame". 

Più di recente, ancora a Favara, un apprezzato cardiologo che ogni mattina alle 6,30 era in ambulatorio a lavorare, viene ucciso a sangue freddo davanti alla segretaria. Il motivo? Lo dirà lo stesso omicida nel corso della sua confessione. Non era stato rapido ed efficiente nel rilasciargli un certificato medico che gli serviva per ottenere la patente.

Cardiologo ucciso nel suo studio, arrestato paziente

Gaetano Alaimo, 62 anni, il 29 novembre del 2022, rientra in studio nel primo pomeriggio e non fa in tempo a salutare: il bidello Adriano Vetro, che aveva atteso pazientemente il suo arrivo, annunciato dalla segretaria, gli esplode un colpo di pistola alle spalle uccidendolo davanti all'accettazione. La difesa sostiene che l'omicida, reo confesso, è incapace di intendere e volere. Al processo è in corso una "guerra" di perizie fra procura, parti civili e difesa.

È, invece, già arrivato il verdetto per un altro omicidio dalle motivazioni e dinamiche, anche in questo caso, all'apparenza inspiegabili. Il 10 febbraio del 2022 Angelo Incardona, 44 anni, dopo avere ferito il padre e la madre, ammazza il 66enne Lillo Saito che stava salendo sulla sua auto in piazza Provenzani, a Palma di Montechiaro. La vittima è un venditore di gelati, nessuna ombra sul suo passato. L'omicida, dopo avere farfugliato racconti fantasiosi su guerre di mafia, ammette di avere scaricato addosso l'intero caricatore alla vittima perché, a suo dire, lo aveva guardato in maniera minacciosa.

Il perito nominato dai giudici non ha dubbi: totale incapacità di intendere e volere. Assolto ma rinchiuso "per almeno 10 anni" in una struttura che possa contenere la sua pericolosità.

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Fra il 2015, il 2017 e il 2022 sono tre gli omicidi commessi a Palma di Montechiaro in quella che sembra una faida alimentata da un unico movente: il furto di alcuni attrezzi agricoli.

Un bracciante agricolo di 65 anni, Angelo Castronovo, il 31 ottobre del 2022, viene ucciso a colpi d'arma da fuoco in contrada Cipolla tra Palma di Montechiaro e Licata. La vittima è stata colpita mentre lavorava sul suo appezzamento di terreno. L'uomo è stato raggiunto dal killer mentre stava facendo dei lavori di movimento terra con un camion su un appezzamento di terra. Dopo aver sparato l'assassino è fuggito. Castronovo era stato rinviato a giudizio per dodici ipotesi di detenzione e porto illegale di armi. A Palma il 9 novembre del 2015 e il 22 agosto del 2017 furono messi a segno due agguati legati a una faida che avrebbe portato ai due omicidi come conseguenza del furto di un trattore.

In uno degli episodi fu ucciso Enrico Rallo, trentanovenne colpito da numerosi colpi di arma da fuoco nei pressi di un bar. Ad ucciderlo, secondo la Procura, sarebbero stati lo stesso Castronovo e Salvatore Azzarello, 37 anni, che è stato poi ucciso nel 2017. Castronovo era stato arrestato il 30 luglio del 2020 ed era finito a processo per un traffico di armi connesso all'indagine. Il gip ritenne però che non ci fossero gli indizi di colpevolezza per i due delitti. Dopo sei mesi di carcere e un anno di arresti domiciliari, era tornato in libertà. A ritenere affievolite le esigenze cautelari era stata la Corte di assise di Agrigento. Castronovo, riacquistata la libertà, ha trovato la morte. Al momento senza colpevoli ma l'ipotesi (non confermata nel processo) è che tutti i tre fatti di sangue siano legati da un unico movente: un furto.

Omicidio dopo lite per la stradina: chiesta condanna all'ergastolo

Il 27 settembre del 2019 il possesso conteso di una stradina interpoderale in contrada Calici, estrema periferia di Canicattì, arma la mano dell'agricoltore Carmelo Rubino. Dopo mesi di litigi per l'accesso, a volte ostruito da una catena, prende una pistola, come in seguito ha ammesso, e gli spara due colpi di pistola al volto durante la vendemmia. La Corte di assise di Agrigento lo condanna a 22 anni di carcere.

Nell'Agrigentino, e lo dimostrano i fatti, si spara. E si spara anche per quella che, apparentemente, sembra una stupidaggine, qualcosa che potrebbe e dovrebbe essere chiarito diversamente. Non certo facendo ricorso alle armi. 

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