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Lunedì, 29 Aprile 2024
Le reazioni

La rivolta al “Petrusa”, il sindacato di polizia penitenziaria alza la voce: “Governo garantisca la sicurezza degli agenti”

Il segretario generale Donato Capece non usa giri di parole: “Un grave fatto annunciato, causato da anni di ipergarantismo nei penitenziari dove ai detenuti è stato permesso di autogestirsi. Necessari nuovi provvedimenti ministeriali”

Sono state ore di follia e violenza quelle vissute ieri, martedì 2 gennaio, nella casa circondariale di Agrigento in contrada Petrusa, dove una cinquantina di detenuti hanno dato vita ad una vera e propria rivolta con tanto di sequestro di persona. Un fatto che non è ovviamente passato inosservato agli occhi di Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo polizia penitenziaria, che non usa giri di parole per commentare l’accaduto: “Basta! Anche questo è un grave evento critico annunciato! A questo hanno portato questi anni di ipergarantismo nelle carceri, dove ai detenuti è stato praticamente permesso di auto gestirsi con provvedimenti scellerati ‘a pioggia’ come la vigilanza dinamica e il regime aperto, con detenuti fuori dalle celle pressoché tutto il giorno a non fare nulla nei corridoi delle sezioni. E queste sono anche le conseguenze di una politica penitenziaria che invece di punire, sia sotto il profilo disciplinare che penale, i detenuti violenti, non assumono severi provvedimenti”.

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Capece, tra l’altro, ha ricordato che nel corso del 2023 anche i penitenziari di Noto, Augusta e San Cataldo furono teatro di gravi episodi con rivolte dei detenuti: “Il personale di polizia penitenziaria - ha aggiunto - non ha ancora ricevuto i previsti guanti anti-taglio, caschi, scudi, kit antisommossa e sfollagenti promessi dal DAP. Servono anche apparecchiature per schermare le sezioni detentive ed impedire l’uso di telefoni cellulari.

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La situazione delle carceri italiane, per adulti e minori, è allarmante per il continuo ripetersi di gravi episodi critici e violenti che vedono sempre più coinvolti gli uomini e le donne appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria. Donne e uomini che svolgono servizio nelle sezioni detentive senza alcuno strumento utile a garantire la loro incolumità fisica dalle continue aggressioni dei detenuti più violenti. Il taser potrebbe essere lo strumento utile per eccellenza (anche perché di ogni detenuto è possibile sapere le condizioni fisiche e mediche prima di poter usare la pistola ad impulsi elettrici) ma i vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria continuano a tergiversare. Figuriamoci, tanto mica sono loro a stare in prima linea nelle carceri a fronteggiare i detenuti violenti”.

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