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Lunedì, 29 Aprile 2024
Il verdetto / Raffadali

"Ha ucciso il figlio in piazza dopo avere subito l'ennesima aggressione": pena più che dimezzata per un poliziotto

Nove anni e 4 mesi (21 in primo grado) per il 58enne Gaetano Rampello, che ha confessato l'omicidio del 24enne a colpi di pistola dicendo di avere avuto un raptus: la difesa aveva sollevato dei dubbi di costituzionalità legati al calcolo della pena

Condanna più che dimezzata - da 21 anni a 9 anni e 4 mesi - per Gaetano Rampello, 59 anni, poliziotto in servizio al reparto mobile della questura di Catania, che ha confessato l'omicidio del figlio ventiquattrenne Vincenzo. 

La Corte di assise di appello di Palermo ha accolto uno dei motivi del ricorso del difensore, l'avvocato Daniela Posante, che ha sollevato una complessa questione giuridica sul calcolo della pena legato, in particolare alle attenuanti e alle aggravanti.

I giudici della Corte di assise di Agrigento, presieduta da Wilma Angela Mazzara, in primo grado, lo hanno condannato a 21 anni di reclusione. Gli stessi giudici, alcune settimane dopo, lo hanno scarcerato, sostituendo la misura con gli arresti domiciliari col braccialetto elettronico.

Tensioni fra familiari prima del processo

Rampello, secondo quanto ha lui stesso confessato, avrebbe esploso 14 colpi della sua pistola di ordinanza contro il figlio violento e con problemi psichici che da anni lo picchiava e gli estorceva soldi.  

L'omicidio è avvenuto il primo febbraio dell'anno scorso in piazza Progresso, a Raffadali, dove i due si erano dati appuntamento perché il ragazzo avrebbe preteso 30 euro. In quella circostanza il ventiquattrenne, secondo il racconto dell'imputato, avrebbe strattonato il padre costringendolo a consegnarli altri soldi. Rampello, secondo quanto lui stesso ha ammesso, dopo essere stato aggredito ha estratto l'arma e gli ha sparato alle spalle consegnandosi poi ai carabinieri a una fermata del bus. 

"Bastardo, dammi i soldi": in aula gli audio shock

Dietro l'omicidio c'erano anni di violenze e sopraffazioni da parte del giovane al padre, alimentati dai problemi psichici del ragazzo, che viveva insieme a uno zio in un clima conflittuale fra gli stessi genitori che si erano separati con ripetuti contrasti. 

Sulla questione legata al calcolo della pena, la difesa ha sollevato una complessa questione giuridica. I giudici, in sostanza, in primo grado hanno riconosciuto sia le attenuanti generiche che quelle che scaturiscono dalla provocazione. Tuttavia, nel calcolo della pena, ha prevalso l'aggravante legata al fatto che la vittima dell'omicidio è il figlio dell'imputato.

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Nel ricorso depositato dall'avvocato Posante (nella foto in alto) sono stati sollevati alcuni dubbi riproposti in aula nella scorsa udienza. La stessa Corte costituzionale, pronunciandosi su un caso analogo, aveva dato ragione alla difesa. I giudici hanno, quindi, voluto esaminare meglio la questione e hanno rinviato il processo a oggi. Dopo la camera di consiglio, infine, è stata decisa la netta riduzione della condanna. 

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