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Sabato, 27 Aprile 2024
L'intervista all'ex capo dei pm

Giustizia fai da te e omicidi "facili", Patronaggio: "Molti paesi sono fermi al secolo scorso"

Il procuratore generale di Cagliari ad Agrigento è stato anche giudice per tanti anni: "Si ha un senso sbagliato dell'onore, c'è tanta ignoranza e sfiducia nello Stato"

L'ultima spedizione punitiva, conclusa con un omicidio "per errore" al Villaggio Mosè, fa tornare alla mente i tanti delitti "facili" nell'Agrigentino. Uccisioni che hanno un elemento in comune: un movente banale. L'attuale procuratore generale di Cagliari, Luigi Patronaggio, che ad Agrigento è stato pure giudice per tanti anni e ha presieduto, da più giovane presidente di Corte di assise in Italia, il maxi processo "Akragas", nella sua esperienza in via Mazzini (e prima ancora in via Atenea) ne ha visti a centinaia.

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Procuratore, lei conosce molto bene la realtà di Agrigento per averla vissuta tanti anni. Perché, in una piccola provincia con un capoluogo di meno di 60 mila abitanti, si spara e si uccide così tanto?

"Malinteso senso dell'onore, ignoranza, sfiducia nello Stato e nelle sue istituzioni, sicurezza nel condividere una rete di solidarietà sociale. L'onore, nei nostri paesi più interni, vale più di ogni altra cosa. Essere onorati ed essere rispettati è una sicura equazione di accettazione sociale. L'equazione riesce perché la società, per ignoranza e mancanza di senso civico, accetta il delitto come unica riparazione dell'onore infranto. Se a questo si aggiunge una atavica sfiducia verso lo Stato, il quadro si completa in modo drammatico. Ho più volte detto che per ripristinare la legalità occorre partire dall'educazione civica, solo così si fa franare il viscido terreno dell'approvazione, del consenso o anche della semplice e pericolosa comprensione".

La sensazione, spesso, è che si uccida davvero per motivi futili. Una piccola contesa di terreni, una lite di paese. Non ci si spaventa di fare decenni di carcere pur di vendicare il torto che si ritiene di avere subito...

"Non tutte le persone vivono la carcerazione allo stesso modo. La persona cresciuta in un contesto sociale positivo, che è  caduta in errore, vive il carcere, non solo come privazione della libertà, ma soprattutto come un disvalore mortificante. L'uomo cresciuto in un contesto di illegalità vive viceversa la carcerazione come una parentesi della propria vita, riproponendo all'interno del carcere le proprie modalità e il proprio stile di vita, sapendo che dopo avere scontato la pena, fuori sarà sempre accolto favorevolmente dal mondo che ha momentaneamente lasciato".

Qual è il caso più eclatante che lei ricorda, da giudice, da procuratore di Agrigento o da magistrato della procura generale di Palermo?

"Potrei citare vari episodi, peraltro, ben rappresentati in un recente articolo di AgrigentoNotizie. Mi limiterò invece a raccontarle un episodio accaduto all'inizio del secolo scorso proprio in provincia di Agrigento. A un benestante proprietario terriero rubarono una giumenta e lui visse questo furto come un affronto alla sua persona e al suo status. Decise quindi di farsi giustizia da sé, ricercando, con l'aiuto della mafia, i responsabili del furto. Una volta individuati i ladri li uccise con lucido razionale metodo, uno per uno. Purtroppo per lui, quei ladri erano già vicini ad associarsi alla 'stidda' e passarono ben presto al contrattacco uccidendo in un agguato il benestante proprietario terriero. Ancora oggi in quel paese si ricorda con affetto 'zu' Pè' che perse la vita per una giumenta ma che salvò l'onore. I responsabili dei delitti, peraltro mai denunziati, non furono identificati e i 'reali carabinieri' attribuirono i fatti a faide fra non meglio identificate bande locali. Da allora in molti nostri paesi nulla è cambiato".

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Non è bastato nemmeno l'inasprimento, di fatto, delle pene con l'abolizione del rito abbreviato dell'omicidio aggravato. Quale può essere, allora, il rimedio?

"Lo ribadisco ancora una volta: il rimedio sta nella crescita della coscienza civica e nella diffusione della cultura della legalità. Occorre portare avanti un lavoro di educazione alla legalità nelle scuole, nelle parrocchie, nei centri di aggregazione sociale. La politica, infine, deve smettere di occuparsi solo di affari e talvolta di malaffari e rimettere al centro del suo agire l'uomo".

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