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Cronaca Naro

Disabile incatenato al letto e picchiato, gli zii chiedono perdono: "Eravamo esasperati"

I tutori del trentenne confessano e mostrano "profondo dispiacere ma le sue condizioni si erano aggravate e non era facile gestirlo". Si difendono, invece, dall'accusa di essersi appropriati dei beni del ragazzo

"Siamo consapevoli della gravità di quanto abbiamo fatto, chiediamo perdono ma non siamo riusciti a gestire una situazione che era diventata troppo difficile". I coniugi di Naro, arrestati con l'accusa di avere segregato in casa il nipote disabile di 33 anni, legandolo al letto con una catena alla caviglia, ribadiscono le loro scuse al nipote.

Lo hanno fatto al processo, in corso con rito abbreviato davanti al gup Micaela Raimondo. I due imputati - difesi dagli avvocati Teresa Alba Raguccia e Mauro Tirnetta - sono stati arrestati il 26 ottobre del 2019, dopo un blitz dei carabinieri, avvisati con una lettera anonima, che hanno liberato il nipote trentenne disabile, tenuto incatenato al letto. Il ragazzo, secondo quanto ipotizzato, sarebbe stato ripetutamente percosso e umiliato dagli zii tutori.

Accuse che gli stessi imputati hanno ammesso in aula provando a giustificarsi. "Le sue condizioni psichiatriche si erano aggravate - hanno detto in aula - ed era diventato impossibile gestirlo. Abbiamo anche chiesto aiuto ai servizi sociali ma non abbiamo avuto alcuna risposta".

Alle accuse di maltrattamenti e sequestro di persona, per le quali sono stati arrestati, il pubblico ministero Gloria Andreoli ne ha aggiunta un'altra in un secondo momento, ovvero quella di peculato. I due tutori, attualmente sottoposti all'obbligo di dimora a Canicattì, secondo quanto avrebbero accertato gli sviluppi dell'indagine, si sarebbero appropriati di circa 65 mila euro del ragazzo, trasferendoli sul loro conto e destinandoli "a spese personali".

Sul punto i due imputati hanno provato a dare delle giustificazioni dicendo che il ragazzo spendeva oltre 300 euro al mese di sigarette e che, oltre che per questo, i calcoli dei presunti ammanchi contestati andrebbero rivisti alla luce del fatto che gli avevano acquistato un'auto, un cellulare, un pc e dei vestiti.

"Per 4 anni, peraltro - è stata la loro giustificazione - abbiamo provveduto a tutte le sue esigenze. Il sussidio di 290 euro al mese gli è stato concesso solo in un secondo momento". 

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