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Sabato, 27 Aprile 2024
Appello "bis"

Racket mafioso a costruttori: nuovo processo per il boss Massimino

La Cassazione ha ordinato il giudizio per il capomafia, detenuto al 41 bis, coinvolto nell'indagine in cui è stato già condannato il braccio destro Liborio Militello

Un nuovo processo in appello per il boss Antonio Massimino, accusato di estorsione ai danni di due costruttori, padre e figlio, ai quali avrebbe provato a imporre l'assunzione di un operaio alle loro dipendenze. 

E' iniziato il giudizio "bis", ordinato dalla Cassazione che ha messo, tuttavia, alcuni punti fermi nell'indagine in cui è stato coinvolto pure il 56enne Liborio Militello, ritenuto, per un periodo, il braccio destro di Massimino nella gestione della famiglia mafiosa di Agrigento.

Per lo stesso Massimino la condanna, per una diversa ipotesi di tentata estorsione ai danni degli stessi imprenditori, è diventata definitiva.

I due titolari dell'attività non avevano presentato denuncia ma la Dia, che indagava sul clan rimesso in piedi da Massimino dopo la seconda scarcerazione, lo pedinava e ha scoperto gli episodi di racket che sono stati poi confermati in aula.

"La prima volta - hanno raccontato - Militello è venuto chiedere se potevamo farlo lavorare come piastrellista, subito dopo ci ha detto che lo mandavano quelli di Agrigento e che bisognava fare un regalino".

Tre le ipotesi di tentata estorsione al centro del processo. In una veniva contestato ai due imputati di avere chiesto il pizzo ai costruttori come “messa a posto” per il fabbricato di via Mazzini che stavano realizzando. Per questo episodio è stato ritenuto colpevole il solo Militello: la Cassazione, infatti, lo scorso marzo ha dichiarato inammissibile il ricorso della difesa.

Un’altra estorsione era contestata al solo Massimino che avrebbe tentato di imporre l’assunzione di un operaio che di recente è stato arrestato in una vasta operazione antidroga: l’imprenditore, il 23 marzo del 2016, andò all'appuntamento, nel bar di fronte al tribunale, con il registratore acceso nascosto sotto la giacca e consegnò il nastro agli inquirenti.

La maxi inchiesta "Kerkent": condannati Massimino e Militello

Per il giudice del processo di primo grado fu una semplice richiesta amichevole: di diverso avviso la Corte di appello che aveva riformato la sentenza riconoscendolo colpevole. La Suprema Corte, quindi, ha rimandato tutto in appello per un nuovo giudizio appena iniziato.

Il sostituto procuratore generale Rita Fulantelli ha chiesto di riaprire l'istruttoria per sentire di nuovo le presunte vittime ma la Corte non ha dato il via libera. Il 24 aprile, quindi, si torna in aula per la requisitoria e l'arringa difensiva dell'avvocato Salvatore Pennica.

Un altro tentativo di taglieggiamento, inizialmente contestato a entrambi, sarebbe consistito nel chiedere, con toni minacciosi, di saldare un debito di 85 mila euro con Salvatore Gambino, titolare di un'impresa che si occupa di impianti elettrici.

Secondo il gup di Palermo, questa ipotesi non integrava un tentativo di estorsione ma solo un "esercizio arbitrario delle proprie ragioni" che, sebbene aggravato, non sarebbe stato punibile senza una querela che non è mai stata presentata. Anche su questo punto, i giudici di appello avevano ribaltato il verdetto condannando entrambi gli imputati per l'accusa originaria di tentata estorsione aggravata.

Infine la Cassazione ha annullato la sentenza ritenendo, come già aveva fatto il giudice di primo grado, che il reato andasse riqualificato e quindi non fosse procedibile. Resta, quindi, solo in discussione, al processo di appello "bis", l'ipotesi di tentata estorsione per l'assunzione dell'operaio.

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