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Operazione Condor

Incendio al magazzino del rivale, imprenditore si difende: "Non c'entro nulla"

L'imprenditore Salvatore Galvano, finito ai domiciliari con l'accusa di avere commissionato e partecipato al raid, smentisce: "Conosco gli altri due indagati ma non ho avuto alcun ruolo"

"Conosco i fratelli Sicilia e Domenico Lombardo ma quel giorno non abbiamo avuto alcun contatto, nè avrei avuto motivo per fare una cosa del genere visto che, peraltro, la ditta concorrente nemmeno si occupava più del settore dei depositi giudiziari".

L'imprenditore Salvatore Galvano, 52 anni, finito agli arresti domiciliari nell'operazione "Condor", che ha svelato le nuove dinamiche mafiose in un ampio versante della provincia agrigentina, si difende davanti al gip. Il titolare della ditta che per tanti anni si è occupata di depositi giudiziari e soccorso stradale, assistito dai suoi difensori Salvatore Pennica e Francesco Accursio Mirabile, si è difeso davanti al gip di Palermo, Filippo Serio, in occasione dell'interrogatorio di garanzia.

Il settore dei depositi giudiziari di auto e soccorso stradale, gestito proprio su appalto bandito da prefettura e demanio, secondo quanto ipotizza l'accusa, sarebbe stato condizionato pure dalla famiglia mafiosa.

L'incendio al deposito della ditta concorrente a quella della famiglia di Salvatore Galvano, sostiene l'accusa, sarebbe stato commissionato proprio dal rivale che era rimasto tagliato fuori dal giro e aveva avviato anche un contenzioso civile (concluso con un pronunciamento a lui sfavorevole) per essere riammesso nelle gara e aggiudicarsi il servizio che per tanti anni aveva garantito lavorando anche al fianco delle forze dell'ordine per soccorsi e depositi di mezzi sequestrati.

Secondo il gip di Palermo, Filippo Serio, che ha firmato l'ordinanza cautelare su richiesta dei pubblici ministeri della Dda, Alessia Sinatra e Claudio Camilleri, l'indagine ha accertato il ruolo nella vicenda dei fratelli Giuseppe e Ignazio Sicilia, di Domenico Lombardo e dello stesso Galvano. L'attentato avvenne il 4 marzo del 2020.    

Intercettazioni telefoniche e ambientali e servizi di osservazione hanno consentito, sostiene il giudice, di risalire alla preparazione dell'episodio. Ignazio Sicilia e Domenico Lombardo, in particolare, avrebbero materialmente appiccato l'incendio alle auto in deposito. Giuseppe Sicilia avrebbe contribuito a recuperare la benzina mentre Galvano avrebbe fatto da palo. La sua partecipazione, inoltre, secondo quanto sostiene il gip, si desume dalla sequenza di intercettazioni.

Secondo il giudice, tuttavia, non emerge il "metodo mafioso" nella realizzazione dell'attentato. "Non risulta - scrive - che sia stato preceduto o seguito da ulteriori minacce e intimidazioni e quindi sia stato percepito come messaggio proveniente da un gruppo mafioso". 

Il danno stimato ammonta a circa 20.000 euro ma soprattutto l'incendio, secondo quanto dichiarato dalla vittima agli inquirenti, convinse la vittima, che già non operava più nel settore, a restare fuori definitivamente. Accuse che, tuttavia, Galvano ha smentito sostenendo di non avere avuto alcun ruolo.

Ignazio Sicilia, invece, assistito dal suo difensore, l'avvocato Giuseppe Barba, si è avvalso della facoltà di non rispondere.

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