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La cattura del superlatitante

Messina Denaro: "Il piccolo Di Matteo? Ho ordinato di sequestrarlo ma non di ucciderlo"

Davanti al Gip il boss cerca di ridimensionare il suo ruolo e scarica tutto su Giovanni Brusca, da poco liberato dopo 25 anni di carcere

Ridimensionando il suo ruolo, davanti al gip Alfredo Montalto che lo interrogava, Matteo Messina Denaro ha cercato di mostrare il lato umano del più odioso dei crimini che gli vengono attribuiti. Il riferimento è alla tragica fine del piccolo Giuseppe Di Matteo. Il boss ha ammesso il sequestro ma non l'orrore di avere deciso la soppressione del ragazzino, strangolato e sciolto nell'acido per vendetta nei confronti del padre collaboratore di giustizia. 

"Il boss - si legge sul sito dell'Ansa - ha scaricato tutto su Giovanni Brusca, da poco liberato dopo 25 anni di carcere. Fu lui, ha detto, a dare quell'ordine ripugnante. L'interrogatorio del boss non ha sciolto per ora nessun altro nodo dell'inchiesta seguita all'arresto tra cui quello del ruolo della sorella Rosalia, la persona più vicina a Messina Denaro: era lei che teneva la cassa, aggiornava la contabilità, custodiva un migliaio di pizzini nei quali si ritrovano tutti o quasi tutti i personaggi del cerchio magico del boss, amanti comprese. La donna non ha finora aperto bocca e il tribunale del riesame ha respinto la sua istanza di scarcerazione. Resta in cella e pagherà pure le spese".

Il piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio dodicenne del pentito Santino Di Matteo, venne rapito il pomeriggio del 23 novembre 1993, quando aveva quasi 13 anni, in un maneggio di Piana degli Albanesi e poi ucciso nel gennaio del '96. Il piccolo Giuseppe, nato a Palermo il 19 gennaio 1981, fu rapito da un gruppo di mafiosi. Secondo le deposizioni di Gaspare Spatuzza, che prese parte al rapimento, i sequestratori si travestirono da poliziotti della Dia ingannando facilmente il ragazzo, che credeva di poter rivedere il padre in quel periodo sotto protezione lontano dalla Sicilia. La famiglia cercò notizie del figlio in tutti gli ospedali palermitani ma quando, il 1º dicembre 1993, un messaggio su un biglietto giunse alla famiglia con scritto "Tappaci la bocca" e due foto del ragazzo che teneva in mano un quotidiano del 29 novembre 1993, fu chiaro che il rapimento era finalizzato a spingere Santino Di Matteo a ritrattare le sue rivelazioni sulla strage di Capaci e sull'uccisione dell'esattore Ignazio Salvo.

Santino Di Matteo non si piegò al ricatto e decise di proseguire la collaborazione con la giustizia. Giuseppe fu trasportato da un posto all’altro per mezza Sicilia, fu spostato in varie prigioni del trapanese e dell'agrigentino, e nell’ultimo nascondiglio rimase per 180 interminabili giorni, prima di essere ucciso. 

Intanto arrivano buone notizie in merito alle condizioni di salute di Messina Denaro, che si trova recluso in carcere a L'Aquila. Il boss ha infatto concluso il ciclo di chemio e sta assumendo farmaci. Esami e controlli comunque continuano.

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