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"Estorsioni mafiose a imprenditori", assolto Massimino: 4 anni a Militello

Il gup di Palermo scagiona il boss per due episodi di racket, condannato solo il presunto braccio destro

Nessuna estorsione, ci fu solo un tentativo di farsi giustizia "arbitrariamente" che non è punibile perchè mai denunciato dalla vittima che peraltro in un primo momento fu indagata. Queste le decisioni del gup di Palermo, Fabrizio Molinari, che ha assolto il boss Antonio Massimino, 49 anni, arrestato un anno e mezzo fa per l'ennesima volta con l'accusa di avere imposto il racket a due noti costruttori agrigentini. 

Condanna a 4 anni, invece, per Liborio Militello, 51 anni, ritenuto il nuovo braccio destro del vecchio capomafia di Villaseta che poco prima del nuovo arresto aveva finito di scontare una condanna nell'ambito dell'inchiesta San Calogero. Al centro del processo, svolto con rito abbreviato, tre episodi di racket mafioso ai danni degli imprenditori Ettore e Sergio Li Causi, padre e figlio, noti costruttori. Nonostante il giudizio abbreviato, di norma, escluda nuove prove, il difensore di Massimino – l’avvocato Salvatore Pennica – ha ottenuto di sentire in aula Salvatore Gambino, titolare di un'impresa che si occupa di impianti elettrici indicato in un primo momento come mandante di un’estorsione prima che l’inchiesta a suo carico venisse archiviata.

“Mi manda il principale di Villaseta... quello dell'acqua e vuole sapere quando gli dai 85.000 euro a Gambino”: questa la frase che Militello avrebbe pronunciato all'indirizzo di Li Causi facendo esplicito riferimento a Massimino che gestiva una rivendita di acqua e bibite. In un primo momento si ipotizzava che fosse proprio Gambino ad avere commissionato la riscossione ai due mafiosi. L'imprenditore quarantaseienne, in aula, ha smentito: “Gli imprenditori Ettore e Sergio Li Causi hanno un debito con me di 85 mila euro, ho fatto loro un decreto ingiuntivo per riscuoterlo ma non mi sono rivolto né ad Antonio Massimino, che non conosco, né ad altri”. Per il giudice, evidentemente, le cose non devono essere andate così. In ogni caso questa ipotesi non integrava un tentativo di estorsione ma solo un "esercizio arbitrario delle proprie ragioni" che, sebbene aggravato, non è punibile senza una querela. Per questo per i due imputati è stata emessa una sentenza di non doversi procedere.

Le presunte vittime durante le indagini hanno collaborato, raccontando ai poliziotti della squadra mobile dei taglieggiamenti e, in una circostanza, registrando persino il colloquio con Massimino che avrebbe tentato di imporgli l’assunzione di un operaio ottenendo, peraltro, il rifiuto del costruttore. Erano tre le ipotesi di reato contestate, due delle quali il tribunale del riesame aveva annullato ritenendole insussistenti. Si tratta di tentativi di estorsione aggravata, tutti commessi ai danni dei Li Causi che da decenni gestiscono delle imprese edili ad Agrigento. In una veniva contestato ai due imputati di avere chiesto il pizzo ai costruttori come “prezzo” per il fabbricato in via Mazzini che stavano realizzando. Militello, il 16 ottobre del 2015, sarebbe andato negli uffici dell’imprenditore e del figlio per avvisarli che bisognava fare “un regalino come tutte le persone che lavorano” con la minaccia che lo mandavano “quelli di Agrigento”. Per questo episodio è stato ritenuto colpevole il solo Militello.

L’imprenditore non denunciò l’episodio ma, convocato per testimoniare dalla squadra mobile che seguiva il cinquantunenne, confermò di avere subito una richiesta estorsiva riconoscendo Militello dall'album fotografico. L’imputato, difeso dall'avvocato Giovanni Castronovo, all’udienza precedente, aveva chiesto di rilasciare spontanee dichiarazioni e cercato di chiarire: “Sono andato a trovare un amico che abita nel palazzo di Li Causi”.

Un’altra estorsione era contestata al solo Massimino che avrebbe tentato di imporre a Sergio Li Causi l’assunzione di un operaio: l’imprenditore, il 23 marzo del 2016, va all'appuntamento, nel bar di fronte al tribunale, con il registratore acceso nascosto sotto la giacca e consegna il nastro agli inquirenti. Il terzo episodio, che sarebbe avvenuto il 18 aprile di due anni fa, riguarda proprio la vicenda di Gambino. Il giudice non ha ritenuto sussistente questa accusa.

I pubblici ministeri Claudio Camilleri e Alessia Sinatra, all'udienza precedente, avevano chiesto 10 anni di reclusione per Massimino e 7 anni per Militello.

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