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Le dichiarazioni

I 30 anni dalla strage di Capaci, Patronaggio: “Un orrore che potrebbe ripetersi”

L’ex capo della Procura di Agrigento, recentemente trasferito a Cagliari, ricorda che c’è ancora tanto lavoro da fare nella lotta a Cosa Nostra e che le alleanze tra le mafie e gli apparati occulti della Repubblica non si sono spezzate

Domani, lunedì 23 maggio, saranno trascorsi esattamente 30 anni da quel giorno maledetto, rimasto impresso nella mente di tutti quegli italiani che hanno assistito, attoniti, all’orrore sull’autostrada allo svincolo per Capaci, con le auto devastate dal tritolo e la notizia della morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta.

Domani tutti si fermeranno a celebrare le vittime, a dire per l’ennesima volta “no” alla mafia, a ricordare e ad augurarsi che tutto ciò non possa mai più ripetersi. Ma che non possa nuovamente accadere non ne è certo l’ex capo della Procura di Agrigento Luigi Patronaggio, recentemente trasferito a Cagliari. Per molti anni ha fatto parte della Direzione distrettuale di Palermo e si è occupato dei più importanti processi di mafia. Ha lavorato per anni al fianco di Paolo Borsellino e ha conosciuto da vicino Giovanni Falcone.

“In questo gran carnevale che sembra la cifra distintiva delle celebrazioni del trentennale di quella che è stata una grande tragedia umana, professionale e politica non solo siciliana ma dell'Italia intera - dice Patronaggio intervistato dall’agenzia Adnkronos - in pochi si sono posti una domanda che per me suona angosciante: potrebbe ripetersi tutto questo orrore?

La risposta è, purtroppo, drammaticamente sì. Perché, al di là delle facili affermazioni sulla sconfitta militare di Cosa Nostra, non si sono spezzate in modo definitivo le alleanze e le trame fra le mafie, le lobbies e gli apparati occulti di questa Repubblica. Questo oscuro mondo parallelo, illegale ed autoritario, ritiene ancora di potere espropriare, a piacimento e secondo logiche non immediatamente decifrabili, i cittadini dal loro diritto di decidere democraticamente ed autonomamente  del proprio convivere civile.

Ben vengano allora le celebrazioni ma con il coraggio di guardare, oltre ed in profondità, evitando di fare di Falcone e Borsellino due "santini" da tenere nel portafoglio di una ipocrita coscienza civica”.

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