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Domenica, 28 Aprile 2024

L'addio ad Angelo Meli, il procuratore di Reggio Emilia: "Hai onorato il giornalismo, ma ti ricorderemo per l’amicizia, la fratellanza e la gioia di vivere"

Gaetano Paci, fraterno amico del redattore del Giornale di Sicilia, dall'Egitto ha fatto recapitare un toccante messaggio che hanno descritto chi veramente era il sessantunenne ucciso da un infarto fulminante

Il procuratore capo di Reggio Emilia, Gaetano Paci, fraterno amico del giornalista Angelo Meli morto a causa di un infarto fulminante, ha recapitato dall'Egitto dove attualmente si trova un toccante messaggio che è stato letto al cimitero di Canicattì dove l'urna del giornalista canicattinese-palermitano è stata traslata dopo la cremazione. Parole di addio che fanno intravedere chi veramente Angelo Meli fosse. 

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"Te ne sei andato così Angelì, in silenzio, senza dare fastidio a nessuno, come hai sempre vissuto tu, che sei stato per tutti una roccia, il fratello che mancava, l’amico e il collega che trovi sempre per un consiglio e persino il padre per alcuni. Dopo oltre 45 anni di discussioni appassionate, di 'sciarre' su idee, autori e libri, di grandi bevute e di risate pazzesche, di progetti realizzati ed altri che ancora azzardavamo a voler realizzare, il destino assurdo ha voluto che ci separassimo senza che ci sia stata la possibilità di vederci per l’ultima volta. Ora che eravamo finalmente diventati adulti ed avevamo imparato a capire come si attraversa la vita senza farsi fare male, anche se di dolori grandi e piccoli non ce ne ha risparmiati. Ora che dovevamo raccontare ai più giovani da dove eravamo partiti, da quel bar di piazza quattro novembre, dove con la filosofia di Marx, di Nitzche e i romanzi di Sciascia iniziammo a concepire i nostri sogni di giustizia, di verità, di bisogno di coerenza con ideali troppi importanti da poter essere traditi: dove Peppe Leone ci insegnò che 'sbattere i coglioni contro la banca' era possibile per poter vivere degnamente da uomini e non da sudditi. Dove avevi da solo e spontaneamente creato dal nulla la prima e rudimentale forma di accoglienza verso i tanti giovani che dal Nordafrica venivano in paese per cercare lavoro. Dove scrivevi i tuoi pezzi per L’Ora e Il Giornale di Sicilia sui signorotti del paese che imponevano il loro dominio mafioso senza avere alcun timore delle inevitabili minacce con cui ti consigliavano di “farti i cazzi tuoi”, sennò ti avrebbero sparato o distrutto il bar. La stessa determinazione con cui eri riuscito a lasciare il bar e a trasferirti a Palermo nel 1991 per lavorare a tempo pieno prima a L’ora e poi al Giornale di Sicilia, riuscendoti anche a laureare con il massimo dei voti in scienza delle comunicazioni, primo a Palermo dopo la sua istituzione. Ti eri appassionato ai temi dell’economia perché era il tuo modo di studiare dall’interno le dinamiche del potere e di descriverne con rigore le tante malefatte. Semplicemente hai raccontato le cose che accadevano, documentando tutto con precisione, senza doverti definire un “anti” qualcosa: eri soltanto un giornalista. Con lo stesso rigore con cui avevi svolto il ruolo di componente del Consiglio dell’Ordine prima e del Consiglio di disciplina dell’Ordine dei Giornalisti, poi, attento a tutelare i giovani giornalisti e a censurare coloro che per viltà e convenienza avevano tradito i loro doveri professionali. Lo stesso trascinante entusiasmo con cui avevi aderito al progetto del Centro Pio La Torre e del suo fondatore Vito Lo Monaco di dare ai giovani ricercatori con la rivista A’sudeuropa una palestra ove coltivare l’approfondimento su ciò che era diventata la mafia e la criminalità organizzata e come coltivare il privilegio dell’indipendenza. E, come ancora mi avevi confidato la scorsa settimana, avresti voluto continuare a scrivere e a organizzare progetti per le giovani generazioni di giornalisti. È impossibile ricordare le tante cose ci siamo detti su quella scalinata d’ingresso di via Lincoln, nei nostri quotidiani caffè, come abbiamo fatto per tanti anni e come non potrò fare mai più. Il minimo che adesso si può dire, Angelino, è che tu hai onorato il giornalismo, fatica quotidiana ma anche passione civile e atto di esercizio di democrazia e di verità. Ma noi ti ricorderemo per avere onorato l’amicizia, la fratellanza e in definitiva la gioia di vivere. E per aver amato teneramente, nonostante la tua superficiale aria di burbero, la tua dolcissima compagna di vita, Maria Rita, con la quale non hai mai smesso di voler iniziare nuovi progetti di vita e di accoglierci nella vostra casa che era diventata anche la nostra casa. Riposa in pace fratello mio". 

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