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Domenica, 28 Aprile 2024
L'indagine

La sparatoria con un morto al Villaggio Mosè, trovate decine di proiettili nell'autosalone dell'indagato

La polizia ha fatto una perquisizione nei giorni scorsi nell'attività commerciale di Angelo Di Falco: le munizioni potrebbero essere le stesse di quelle contenute nella pistola da cui è partito il colpo che ha ucciso il fratello Roberto. Il tribunale del riesame ha escluso l'accusa di "omicidio per errore" e confermato il carcere per il tentato omicidio del figlio di un collega della vittima

Decine di proiettili, occultati nell'autosalone di Angelo Di Falco, che potrebbero essere dello stesso calibro di quelli contenuti nella pistola che ha ucciso il fratello Roberto. A trovarli, nel corso di una perquisizione, scattata nei giorni scorsi, è stata la squadra mobile che indaga sul caso.

Possibile svolta nell'inchiesta sulla sparatoria dello scorso 28 febbraio al Villaggio Mosè. Tre settimane fa, nel piazzale di un'altra concessionaria, è rimasto ucciso il trentasettenne Roberto Di Falco.

La vicenda è particolarmente articolata e l'ipotesi della procura della Repubblica, venerdì scorso, è stata messa in discussione dal provvedimento del tribunale del riesame che ha ritenuto insussistente l'accusa di "omicidio per errore".

Sparatoria con un morto al Villaggio Mosè, cade l'accusa di omicidio

La procura ritiene che si sia trattato di una spedizione punitiva finita male ai danni di un venditore di auto del Villaggio Mosè. Il commerciante, in particolare, pare avesse un debito con Roberto Di Falco legato alla compravendita di auto che sarebbe stata pagata a Di Falco con un assegno scoperto. La stessa vittima, peraltro, lavorava nel settore del commercio delle vetture. 

Sotto accusa oltre ad Angelo Di Falco, 39 anni, fratello della vittima, Calogero Zarbo, 40 anni e Domenico Avanzato, 37 anni, tutti di Palma. Il titolare della concessionaria, che sarebbe stato picchiato dai quattro palmesi, mentre si trovava all’interno di un’auto, secondo quanto sostengono gli inquirenti, avrebbe avuto la prontezza di riflessi di spostare la pistola con la mano mentre Roberto Di Falco provava a sparargli ferendolo mortalmente nel tentativo di difendersi.

Le fasi dell'aggressione fisica sono state riprese abbastanza nitidamente dalle telecamere di sorveglianza che, però, non mostrano le fasi salienti. 

"È una mossa - ha detto alla squadra mobile - che ho imparato quando ho fatto il servizio militare". Da lì la contestazione dell'omicidio "per errore" da subito contestata dalla difesa e adesso sconfessata dai giudici del riesame.

Resta in piedi quella di tentato omicidio e detenzione illegale di armi. Il tribunale della libertà di Palermo, pronunciandosi sul ricorso dei difensori, gli avvocati Giovanni Castronovo, Santo Lucia e Antonio Ragusa, venerdì ha annullato l'accusa principale a carico dei tre indagati.

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I giudici, tuttavia, hanno confermato la custodia cautelare in carcere per tutti per l'accusa di tentato omicidio ai danni del figlio del titolare della concessionaria, al quale Angelo Di Falco avrebbe provato a sparare dopo che il fratello era caduto per terra in seguito al colpo ricevuto all'addome, e per quella di detenzione illegale di arma. La vittima designata, in questo caso, si sarebbe salvata per l'inceppamento dell'arma. 

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La difesa ha sempre sostenuto che i quattro palmesi siano andati nella concessionaria per picchiare il titolare e che lo stesso abbia tirato fuori la pistola (non ritrovata) e abbia fatto fuoco, uccidendo Roberto Di Falco. 

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La pistola non è stata trovata: gli inquirenti ritengono che possa essere stata fatta sparire durante la fuga verso l'ospedale dove Roberto Di Falco è arrivato in condizioni disperate.

La squadra mobile, coordinata dal procuratore Giovanni Di Leo e dal pubblico ministero Gaspare Bentivegna, nei giorni scorsi ha continuato le indagini alla ricerca dell'arma e, perquisendo l'autosalone di Angelo Di Falco, con cui il fratello avrebbe avuto pure una collaborazione lavorativa, hanno trovato decine di proiettili detenuti illegalmente.

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