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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca Lampedusa e Linosa

I bengalesi assiderati morti nello sbarco, l’arcivescovo Damiano: “E’ il trionfo della disumanità”

L’abbraccio virtuale alla comunità di Lampedusa: “Quest’isola, da troppi anni, piange spesso morti innocenti e servirebbe uno sguardo attento da parte dell’Europa

Commozione, sgomento e vicinanza alla comunità di Lampedusa nelle parole dell'arcivescovo di Agrigento Alessandro Damiano, intervenuto dopo avere appreso la notizia dello sbarco costato la vita a 7 immigrati morti per ipotermia mentre cercavano di raggiungere l'isola insieme ad altre 280 persone. "Siamo già oltre l'indifferenza - ha detto l'arcivescovo all'agenzia Adnkronos - e siamo all'ostilità perché si continuano a fare scelte precise per escludere. Muri e fili spinati... è il trionfo della disumanità, incalza il deserto delle coscienze".

Damiano, con le sue parole, abbraccia virtualmente la comunità lampedusana: "Quell'isola, e lo sappiamo ormai da troppi anni, piange spesso morti innocenti. A volte uno, a volte cinque, altri volte sette. Troppi in ogni caso. Il flusso di arrivi è continuo e quando le condizioni del mare lo permettono gli approdi aumentano. Il contatto tra immigrati e popolazione è inesistente perché con l'emergenza pandemica questi nostri fratelli e sorelli sostano sul molo Favaloro, vengono trasferiti nel centro di accoglienza e da lì sulle navi. Ma nonostante questo, la pressione emotiva sull'isola si sente".

Intato il sindaco Totò Martello oggi è tornato a chiedere un impegno dell'Europa e dell'Italia "che - dichiara - non possono girarsi dall'altra parte, perché l'isola da sola non può farcela".

"Un viaggio assurdo - ha aggiunto l'arcivescovo - che parte dalla Libia per finirei in un fazzolettino di terra al centro del Mediterraneo. Servirebbe uno sguardo attento dell'Europa: rapporti con i governi di partenza e soluzioni che consentano a queste persone di partire in modo sicuro e legale, togliendoli dalle mani dei trafficanti di esseri umani che prosperano in questa situazione e rendono chi cerca una vita migliore una vittima".

"Morti di freddo... Come si può accettare? Perché ancora affidiamo ai trafficanti di morte questi nostri fratelli e sorelle? Perché non consentiamo che partano in sicurezza?". Don Carmelo Rizzo è il parroco di Lampedusa. Sulla più grande delle Pelagie è arrivato il 15 settembre e in questi mesi di sbarchi al molo Favaloro ne ha visti parecchi. "Un conto è fare conferenze, organizzare convegni e parlare del fenomeno migratorio. Altro è vederli arrivare, stanchi, scalzi, stremati", dice all'Adnkronos. I 280 soccorsi stanotte dalle motovedette della  Capitaneria di porto, dopo essere stati intercettati a bordo di un barcone sovraffollato e a rischio capovolgimento, sul corpo portano i segni della sofferenza. Sette di loro, però, sull'isola sono arrivati già cadaveri. Morti per ipotermia, spiegano i medici del Cisom che sulle motovedette hanno tentato invano di salvarli. Solo gli ultimi di una lunga serie di vittime. Qualche giorno fa al molo Favaloro don Carmelo è arrivato per benedire un'altra salma. Quella di un uomo. "Avrà avuto tra i 20 e i 30 anni - racconta - . Quando lo hanno sistemato nella bara l'operatrice delle onoranze funebri ha pianto. 'Aveva un'espressione serena', ripeteva tra le lacrime mentre una suora la abbracciava. Che strazio".  Al molo don Carmelo quell'umanità dimenticata e offesa la rivede a ogni sbarco. In un copione che si ripete. Sotto il sole o sotto la pioggia battente. "Quando arrivi negli occhi di questi nostri fratellivedi tutto: la gioia di essere vivi, la tristezza per quello si sono lasciati alle spalle, il dolore per le violenze subite", dice. In uno degli ultimi sbarchi una donna scesa dalle motovedette aveva in braccio il figlio. "Un bimbo piccolissimo, lo ha  affidato tra le braccia di una delle volontarie, quasi a ringraziare anche lei. Era felicissima, erano vivi...". A colpire a ogni sbarco sono proprio loro, i bambini. "Giocano con i volontari, a volte basta un gessetto o un pupazzo per vederli sorridere", dice il parroco. Qualche mese fa don Carmelo ha aperto le porte della casa della fraternità. "L'hotspot era pieno, non c'era più dove ospitarli". E insieme ai volontari ha raccolto la testimonianza di un ragazzo. "Cercava notizie di suo fratello - racconta adesso don Carmelo -. Anche lui era partito dalla Libia ma su un altro barcone. Quando gli abbiamo chiesto perché non avessero viaggiato insieme ha risposto: 'La mamma ci ha detto di salire su due barche diverse, perché se uno fosse annegato o fosse stato catturato in mare avrebbe potuto sperare nella salvezza dell'altro'. Un racconto che strazia il cuore". Davanti all'ennesima tragedia l'appello del parroco è che queste nuove vittime non siano ridotte a "una macabra contabilità". "Sono esseri umani davanti ai quali non si può restare indifferenti. I lampedusani da sempre sono pronti all'accoglienza, il loro cuore è generoso, ma da sola l'isola non può affrontare questo fenomeno. Non si abbandoni  ancora una volta Lampedusa e questi nostri fratelli", conclude.

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