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Il verdetto / Naro

Disabile suicida in comunità: assolti responsabili, operatrice di turno e psichiatra

L'uomo si è tolto la vita a 66 anni all'interno della struttura dove era in libertà vigilata impiccandosi con i lacci delle scarpe allo scaldabagno: la procura contestava una serie di condotte omissive ma una perizia ha scagionato tutti gli imputati

Assoluzione perché il fatto non sussiste: il giudice per l'udienza preliminare del tribunale di Agrigento, Iacopo Mazzullo, ha prosciolto tre responsabili di una comunità di Naro, l'operatrice di turno e uno psichiatra finiti a processo con l'accusa di omicidio colposo in relazione alla morte di un disabile di 66 anni ospite della struttura che si è suicidato impiccandosi con i lacci delle scarpe allo scaldabagno.

La sentenza di assoluzione arriva dopo una perizia medico legale che ha scagionato gli imputati.

Sotto accusa: Dores Alaimo, 47 anni; Francesco Scanio, 64 anni; Giuseppina Galleja, 53 anni; Rosa Avanzato, 58 anni e Carmela Fontana, 69 anni. Alaimo, Scanio e Galleja, all'epoca dei fatti, il 16 luglio del 2018, erano i responsabili della Prometeo; Avanzato è l'operatrice in turno quella notte mentre Fontana è la psichiatra. Quest'ultima era accusata di non avere rimodulato la terapia nonostante lei stessa avesse messo per iscritto, in una relazione precedente, che il paziente, affetto da psicosi paranoide schizofrenica, aveva avuto un riacutizzarsi della malattia. 

La stessa, inoltre, avrebbe dovuto sollecitare ai responsabili della comunità, una relazione periodica semestrale sulle condizioni di salute del 66enne che, all'interno della struttura, era sottoposto alle restrizioni della libertà vigilata come appendice di alcune precedenti disavventure giudiziarie. La psichiatra, infatti, avrebbe dovuto poi riferire all'ufficio esecuzione penale esterna.

All'operatrice si contesta di non avere vigilato adeguatamente quella notte impedendo quanto accaduto. I tre responsabili, invece, sono accusati di avere omesso di tenere un'adeguata cartella clinica del paziente, di riferire sulle sue condizioni cliniche al Distretto di salute mentale nonché di vigilare sulla condotta degli operatori. Allo stesso paziente, inoltre, secondo l'iniziale atto di accusa del pm, avrebbero dovuto togliere i lacci delle scarpe per evitare che potesse usarli - come effettivamente avvenuto - per compiere gesti autolesionistici. 

Il neuropsichiatra Antonio Francomano e il medico legale Paolo Procaccianti, incaricati dal giudice di eseguire una perizia, sono arrivati alla conclusione che l'uomo che si tolse la vita non avrebbe dovuto essere collocato in quella comunità ma in una struttura sanitaria. Con riguardo alla posizione del medico è stato, invece, escluso che una diversa terapia avrebbe evitato il suicidio. 

Sulla base dei risultati della perizia il pubblico ministero aveva chiesto l'assoluzione di tutti gli imputati e i difensori (l'avvocato Salvatore Manganello per Fontana e la collega Gisella Spataro per tutti gli altri) si erano associati alla richiesta.

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