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Domenica, 28 Aprile 2024
Ventotto anni di silenzio / Villaggio Mosè

Voci sulle scorie nucleari a Ciavolotta, vi portiamo nella miniera dei misteri

Vicino alla Valle dei Templi, nell'area del giacimento di zolfo è stato creato un museo. Ma alla sede del Parco archeologico a cui è stato affidato non sanno quali reperti sono custoditi (che nel frattempo sono scomparsi)

Un vasto traffico di rifiuti tossici e di scorie nucleari, gestito dalla criminalità organizzata in Sicilia, che vedrebbe nelle viscere delle miniere dismesse i deposti scelti per le attività illecite. Questo era e rimane uno dei tanti misteri italiani, di cui si discusse una trentina di anni fa. L'argomento approdò anche in Parlamento e fu oggetto di inchieste della magistratura. Ma nessun organo istituzionale chiamato in causa ha mai fornito risposte concrete. Il primo a interrogare il governo guidato dal premier Romano Prodi fu il deputato Giuseppe Scozzari. Era il 22 luglio del 1996. La Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta aveva svelato un vasto giro di rifiuti tossici nella miniera di Pasquasia, in provincia di Caltanissetta. Indagini che furono condotte dall’allora pm, oggi procuratore di Agrigento, Giovanni Di Leo che, in merito al misterioso utilizzo delle miniere dismesse, ad AgrigentoNotizie ha detto: “Per me è come parlare del mito di Proserpina, nelle condizioni attuali non sarebbe possibile effettuare rilievi a causa delle gallerie sotterranee che saranno probabilmente allagate e quindi non accessibili. All’epoca, mi fu spiegato da un consulente esperto che anche se ci fossero stati dei rifiuti pericolosi, la profondità dei piani della miniera e la sua conformazione geologica, avrebbero annullato qualsiasi forma di inquinamento esterno”.

Ho sempre sperato che fosse frutto di una leggenda, ma sembrerebbe che così non sia

Giuseppe Scozzari  (ex parlamentare)

Tra i siti segnalati, c'era anche quello della miniera Ciavolotta di Agrigento: il polo di estrazione dello zolfo, che dista pochi chilometri dalla Valle dei Templi, era attivo fino agli inizi degli anni Settanta e per le comunità di Agrigento, Favara e Naro è stata una delle fonti primarie dell'economia. L'assenza di vigilanza nel sito e la fitta rete di cunicoli sotterranei che si estendono per chilometri e a profondità che superano anche i cento metri, secondo molti, avrebbero facilitato le attività illecite della malavita. Sarebbero testimoniate dall'incremento delle patologie oncologiche nelle popolazioni limitrofe alla miniera. Nel 2013, il caso Ciavolotta tornò tra i banchi di Montecitorio, con un'interrogazione dei parlamentari Tonino Moscatt, Fausto Raciti, Maria Iacono e Giuseppe Lauricella che chiedevano spiegazioni all'allora ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, e al suo collega dell'Ambiente, Andrea Orlando.

Interrogazione parlamentare del 6 dicembre 2013

“Premesso che: nel territorio della regione siciliana sono presenti diverse miniere, oramai dismesse da diversi decenni; dal momento della chiusura, le diverse miniere sono state, tuttavia, completamente abbandonate; proprio per lo stato di abbandono e la mancanza di vigilanza delle miniere, negli anni, si è diffuso un generale senso di allarme e preoccupazione circa la possibilità che all'interno delle miniere vi fossero stati occultati rifiuti tossici e perfino scorie nucleari; diverse sono state le segnalazioni di movimenti sospetti di mezzi di carico intorno ai siti minerari e le discariche abusive sorte nelle loro vicinanze; in tali luoghi destano particolare preoccupazione e sospetto le morti degli ex operai e dell'indice dei tumori in taluni casi di gran lunga superiore alla media nazionale; secondo alcune fonti della stampa, la commissione per le miniere dismesse dell'Unione regionale province siciliane ha segnalato come siti sospetti: la miniera di Pasquasia (En), quella di Bosco Palo tra Serradifalco e San Cataldo (Cl), la cava San Giuseppe, tra i paesi di Melilli e Augusta (Sr), quella di Raineri a Mussomeli e infine la Ciavolotta tra Favara e Agrigento, proprio a due passi dalla Valle dei Templi; se si intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per fare chiarezza sulle vere condizioni in cui versano le miniere siciliane abbandonate; se sia vero che i diversi siti minerari sono stati luoghi di attività illecita di smaltimento di rifiuti e nel caso quali tipologie di rifiuti e quale grado pericolosità abbiano per la salute delle persone e per l'ambiente; se si intendano avviare nuove e approfondite verifiche nelle miniere, anche per il tramite del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, per verificare l'eventuale presenza di rifiuti tossici”.

Così come per l'interrogazione parlamentare del 1996, anche quella del 2013 non ebbe nessuna risposta. In alcuni siti minerari vennero comunque fatte delle verifiche. Questo però non avvenne nella miniera agrigentina di Ciavolotta, dove secondo un vigile del fuoco in pensione, la precarietà dei tunnel sotterranei e la presenza dello zolfo renderebbero quasi impossibili le operazioni di controllo.

Lo stato attuale della Ciavolotta

Dal 2010, la Regione siciliana ha convertito l’intera area in parco minerario e trasferito le competenze al dipartimento per i Beni culturali. Dal 2016, è sede del Museo regionale delle miniere di Agrigento, istituito con decreto ma sconosciuto alla collettività. Consultando il portale istituzionale del dipartimento regionale, si evince che la gestione dell’ex miniera è di competenza del Parco archeologico della Valle dei Templi di Agrigento.

Il decreto che istituisce il Museo regionale delle miniere di zolfo di Agrigento

Il direttore del Parco, Roberto Sciarratta - al quale AgrigentoNotizie fa presente lo stato di abbandono dell’intera area e i potenziali rischi per il pubblico - confessa che l’affidamento della gestione, datato giugno 2019, in realtà non è mai stato formalizzato con la consegna dei luoghi e che l’ente affidatario non solo non sarebbe in possesso delle chiavi del museo, ma non conosce nemmeno i reperti in esso custoditi. Siamo noi a informare il direttore che il museo è stato probabilmente depredato, essendo aperta una delle finestre e in parte danneggiato da un incendio. Sciarratta, in nostra presenza, inizia a fare un lungo giro di chiamate. Prima alla soprintendenza dei Beni culturali di Agrigento, poi al suo dipartimento a Palermo, per chiedere spiegazioni sulla mancata consegna dei luoghi e per avere maggiori dettagli anche sulle aree di propria pertinenza. Le istanze telefoniche del direttore, che in passato aveva anche avanzato in forma scritta, non hanno avuto risposte concrete.

Per l’ex miniera Ciavolotta, oltre al vecchio mistero dei rifiuti pericolosi si aggiunge così quello di un museo fantasma che è sconosciuto anche all’ente pubblico che, da circa cinque anni, ne ha acquisito la gestione.

La storia della miniera 

Il giacimento minerario della Ciavolotta di Agrigento fu scoperto nel 1891. È stato uno dei maggiori poli in Sicilia per l’ estrazione dello zolfo. La miniera è raggiungibile a cavallo tra i territori di Favara e Agrigento. Dai suoi stretti cunicoli sotterranei si estraeva uno zolfo puro al 90 per cento, chiamato zubbia. Veniva utilizzato in agricoltura e la sua caratteristica era quella che non necessitava di trattamenti chimici ma, una volta cavato dal sottosuolo, veniva semplicemente frantumato ed esposto all’aria aperta. La miniera cessò le attività negli anni Settanta del secolo scorso. Proibitive erano le condizioni di lavoro dei minatori, frequenti erano i crolli nelle gallerie, tanti sono stati gli incidenti con vittime e fra i morti ci furono anche dei carusi, ovvero i bambini che, per la loro esile corporatura, venivano utilizzati nelle gallerie per il trasporto  dello zolfo. La storia delle zolfare e la vita dei minatori hanno ispirato per anni i grandi maestri della letteratura come Giovanni Verga, Luigi Pirandello e Leonardo Sciascia. Anche il cinema si interessò del tema e fu proprio a Ciavolotta che, nel 1950, il regista Pietro Germi girò alcune scene del film “Il cammino della speranza” che fu sceneggiato da un giovane Federico Fellini.

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