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Cronaca Canicattì

Venticinque anni fa l'omicidio del giudice Livatino, il cardinale Montenegro: «Siamo davvero distanti dalle mentalità mafiose?»

Tra i celebranti anche il fondatore di "Libera", don Luigi Ciotti. Presente il ministro dell'Interno, Angelino Alfano. Don Franco Montenegro: «La mafia non è solo quella delle stragi, ma è anche quella del silenzio, delle ingiustizie, delle raccomandazioni. Serve scatto di orgoglio civile»

Venticinque anni. Un quarto di secolo durante il quale è stato fatto tanto per la lotta alla mafia, per fare la guerra alla prepotenza criminale di Cosa nostra. Venticinque anni che dividono le centinaia di morti ammazzati sull’asfalto con le indagini patrimoniali della magistratura e le inflitrazioni nel tessuto economico, sociale ed imprenditoriale della Sicilia. E non solo.

Ma venticinque anni durante i quali chi ha lavorato per fare muro contro Cosa nostra e contro le mafie ha avuto come esempio gente che ha versato il proprio sangue ed ha sacrificato la propria vita al fine di avanzare nella lotta.

Venticinque anni fa moriva per mano di Cosa nostra il “giudice ragazzino”. Rosario Livatino, come ogni mattina, stava percorrendo la Strada statale 640. Era partito dalla sua Canicattì per raggiungere il Tribunale di Agrigento, dove era un sostituto procuratore della Repubblica. Ma la mano armata della mafia lo ha fermato. E nonostante il suo “Cosa vi ho fatto?”, urlato mentre i sicari lo inseguivano lungo la scarpata della statale, i killer lo hanno crivellato di colpi e lo hanno lasciato per terra senza vita.

Stava indagando su Cosa nostra e sulle famiglie mafiose dell’Agrigentino, sferrando duri colpi con confische di beni e provvedimenti cautelari.

Oggi, a venticinque anni esatti dal suo omicidio, il ricordo nella sua Canicattì nell'ambito degli eventi organizzati dall'associazione "Amici di Rosario Livatino" presieduta da Giuseppe Palilla. Ad officiare la Santa messa stamani è stato il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento. Insieme a lui sull’altare c’era anche don Luigi Ciotti, fondatore di “Libera”, l’associazione contro i soprusi delle mafie in tutta Italia.

Tra i fedeli, oltre a tutte le autorità della provincia, c’era anche il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, il vicepresidente della Regione, Mariella Lo Bello, i prefetti di Agrigento e Caltanissetta e tutti i rappresentanti delle forze dell’ordine e della magistratura. 

Per don Franco Montenegro, «ricordare non vuol dire soltanto voltarsi indietro e dire “E’ successo, pazienza”. Ricordare è desiderio di capire. Ricordare il passato per leggere meglio il presente e guardare meglio il futuro. Il ricordo del giudice Rosario Livatino ci deve far interrogare non solo su ciò che è successo quel giorno. Dobbiamo chiederci se davvero abbiamo preso le distanze dalle mentalità mafiose, così diffuse sulla nostra terra, altrettanto pericolose quanto la violenza del diavolo». 

Poi un forte appello da parte del cardinale Montenegro alle giovani generazioni e ai politici: «La mafia non è solo quella delle stragi, ma è anche quella del silenzio, delle ingiustizie, delle raccomandazioni, delle scorciatoie ai danni dei più deboli. Anche questa mafia uccide. L’anniversario della morte di Livatino susciti in noi uno scatto di orgoglio civile e religioso». 

La commemorazione di Rosario Livatino a 25 anni dalla morte

Le celebrazioni in memoria del giudice ragazzino si sono poi spostate lungo la Ss640, dove il ministro dell’Interno ha deposto una corona di fiori sulla stele posta nel luogo in cui venne ucciso Rosario Livatino. «E' stata la testimonianza di un uomo - ha detto Alfano - che credette profondamenteo nel suo mestiere e nel servizio pubblico come servizio reso alle istituzioni. Ma al tempo stesso scriveva sempre "Sub tutela dei": sapeva che il nostro lavoro, per chi ci crede, è sempre affidato ad una tutela e ad una protezione. Lui è rimasto un simbolo di onesta, di coraggio e di virtù. E i suoi assassini sono rimasti assassini e carcerati».

«La cultura del servizio e l’impegno che metteva nel suo lavoro è l’esempio più grande - ha detto il giudice Alessandra Vella, presidente della sottosezione di Agrigento dell’”Associazione nazionale magistrati” - . L’umiltà, la riservatezza e la coerenza nel lavoro mostrata da Livatino, a distanza di anni, rimangono l’unico modo possibile di fare antimafia».

Per don Luigi Ciotti, «ricordare Livatino vuol dire impegnarci tutti un po’ di più. Vuol dire fare della memoria un impegno. Vuol dire che come cittadini ci assumiamo prima la nostra parte di responsabilità chiedendo alle istituzioni  un passo in più. E che fare antimafia vuol dire “lavoro” e “scuola”. L’Italia è un paese che deve interrogarsi con maggiore determinazione e forza».

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