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Licata Licata

"Pizzo sulle buste paga dei dipendenti delle coop", sei patteggiamenti

Gli impiegati della società che si occupano di assistenza dei disabili sono stati risarciti, pene fino a quasi tre anni

Tredici mesi dopo l’ordinanza cautelare, con due indagati finiti agli arresti domiciliari e tre raggiunti da un divieto di dimora a Licata, tutti gli imputati dell’inchiesta che ipotizzava l’esistenza di un’associazione a delinquere finalizzata ad estorcere parte degli stipendi ai dipendenti di due cooperative, patteggiano la pena ed evitano il processo.

Per tutti, però, è stata esclusa l’accusa di appropriazione indebita che è stata riqualificata, come chiesto dal pubblico ministero Simona Faga, in infedeltà patrimoniale, procedibile solo su querela di parte. Il gup Alfonso Malato, dopo le trattative fra difesa e accusa nei giorni scorsi, ieri mattina poco prima di mezzogiorno ha letto la sentenza di applicazione della pena. Il principale imputato è l’avvocato Rosario Magliarisi, ritenuto il dominus delle coop “Libero Gabbiano” e “Arcobaleno”, finito il 10 ottobre dell’anno scorso agli arresti domiciliari insieme a Linda Modica, 49 anni, responsabile delle due comunità d’accoglienza per minori e malati psichici: entrambi hanno patteggiato una pena di due anni, undici mesi e dieci giorni di reclusione. Un anno e nove mesi ad Angelo Magliarisi, 46 anni, fratello di Rosario, amministratore delle Onlus dall’aprile del 2009 all'ottobre del 2014; un anno e dieci mesi a Carmela Di Blasi, 67 anni, madre dei Magliarisi, amministratrice delle coop nel periodo antecedente al figlio; un anno, undici mesi e dieci giorni a Florinda Zagra, 38 anni, impiegata delle coop addetta alla gestione contabile dei rapporti con i dipendenti; e un anno e sei mesi a Luciano Ballacchino, 39 anni, amministratore unico della cooperativa “Arcobaleno” dall'ottobre del 2014 al maggio dell’anno successivo.

Le principali accuse ipotizzate erano l'associazione a delinquere, l'estorsione e l'appropriazione indebita: quest’ultima accusa è caduta. Gli inquirenti ipotizzavano il classico sistema del pizzo sulla busta paga. I dipendenti delle coop, inoltre, per evitare di essere licenziati avrebbero dovuto firmare il classico foglio di dimissioni in bianco e poi accettare di restituire di una parte consistente dello stipendio. 

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