Psicologia della notizia: Migrando da se stessi
Mesi passati a contemplare sbarchi, incidenti, disagi e rivolte. Volevo "ri-dedicare" questo...
Quasi un anno fa avevo scritto questo articolo e mai come oggi ritorna così attuale, reale e rilevante. Mesi passati a contemplare sbarchi, incidenti, disagi e rivolte. Volevo “ri-dedicare” questo spazio della mia rubrica ad un tema ancora oggi così fervente e persistente come quello dell’immigrazione. Ma voglio farlo da un punto di vista specifico e fondamentale, da quel nodo così stretto ma per molti così impercettibile e spesso ignorato: quello del disagio psichico degli immigrati.
Dico per molti ignorato perché ritengo che nessuno o comunque la maggioranza di coloro che ascoltano, vedono e leggono le numerosissime notizie di questa povera gente che approda disperata sulle nostre coste abbia mai meditato o leggermente considerato la sofferenza psichica di questi esseri umani, uguali a noi in tutto, tranne che per il loro profondo disagio psico-socio-culturale.
Raramente entriamo empaticamente in contatto con la loro angoscia, con le loro tragedie, con le loro emozioni, con i loro sguardi che hanno visto immagini atroci e spesso insostenibili, perché ci viene più facile contemplare e commentare i continui sbarchi, il numero che accresce e il disagio di coloro che si ritrovano obbligatamente ad ospitarli da vicino.
Con ciò non voglio di certo giustificare ed accogliere priva di biasimi queste innumerevoli flotte incontenibili ma al tempo stesso mi interessa e mi amareggia il soffermarmi un attimo sui rischi che corre ogni migrante dal punto di vista della sua salute psichica soprattutto nella misura in cui la separazione, la partenza, il viaggio, l’arrivo e l’incognito creano ovviamente situazioni di ansia e producono la rottura di equilibri prestabiliti, che poi forse nella loro terra così equilibrati non erano.
Si sceglie di separarsi dal proprio contesto affettivo, sociale e culturale, sfidando il tempo e lo spazio per ridefinire il proprio progetto di vita, per continuare a sognare e a sperare lontano da una terra vitalmente ed emotivamente arida.
L’immigrato si ritrova a fare i conti con una elaborazione del lutto della separazione e si trova nello stesso tempo a dovere rinegoziare il senso della sua esistenza. Si trova inoltre in un sistema di relazioni che non riesce ad interpretare e che lo vive come corpo estraneo. Vive la solitudine, l’indifferenza, il sospetto o peggio il disprezzo e l’odio. La sua condizione d’inferiorità sociale e di minoranza culturale lo mette all’angolo; si sente osservato, giudicato, si sente spesso di troppo.
In breve gli immigrati si ritrovano spesso a vivere un enorme disagio che può manifestarsi attraverso varie forme di somatizzazione; la sofferenza dell’essere escluso, del sentirsi di troppo e interiorizzato diventa talvolta insopportabile. Solitudine, esclusione sociale, condizioni di lavoro pesanti, assenza di una rete familiare di supporto possono creare un “vuoto affettivo” nell’immigrato che finisce per diventare straniero a se stesso (Dott. Alain Goussot).
Da un punto di vista psicologico, quindi, la migrazione è di certo, per chi la vive, un’esperienza emotiva particolarmente intensa in quanto tenderebbe a mettere fortemente in discussione l’identità più profonda dell’individuo. L’esperienza migratoria provocherebbe quindi una perdita improvvisa dei propri punti di riferimento esistenziali, sociali, ecologici e culturali (G. Lavanco, C. Novara, 2005).
Queste sono solo alcune delle tante riflessioni fatte da studiosi sul fenomeno dell’immigrazione. A me basta chiudere con l’unico semplice intento di questo mio articolo. Chissà, magari la prossima volta che sentirete una notizia sui migranti potreste coglierne anche qualche prospettiva più profonda.
Dott.ssa Florinda Bruccoleri Psicologa,
psicooncologa ed esperta in psicologia forense
Per contatti: florinda.bruccoleri@agrigentonotizie.it