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Si alle trivelle, ma lontano dalle coste

Zanonato ha firmato il decreto di riordino delle zone marine aperte alla ricerca e coltivazione di idrocarburi. Dimezzate le aree complessivamente aperte alle attività offshore, che sono passate da 255 a 139 mila chilometri quadrati

Buone notizie per le coste agrigentine. Il Ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato ha, infatti, firmato il decreto di riordino delle zone marine aperte alla ricerca e coltivazione di idrocarburi. È stata in questo modo sancita la chiusura a nuove attività offshore delle aree tirreniche e di quelle entro le 12 miglia da tutte le coste e le aree protette, fra cui anche quelle della provincia di Agrigento. Questo ha determinato un quasi dimezzamento delle aree complessivamente aperte alle attività offshore, che sono passate da 255 a 139 mila chilometri quadrati (un bel -45%), spostando le nuove attività verso aree lontane dalle coste, nel rispetto dei vincoli ambientali e di sicurezza italiani ed europei.


 

"Con questo provvedimento - dichiara il Ministro Flavio Zanonato -  sosteniamo lo sviluppo delle risorse nazionali strategiche, concentrando le attività di ricerca e sviluppo di idrocarburi in poche aree marine a maggior potenziale e minor sensibilità ambientale”.


 

La firma del decreto però non deve affatto sorprendere: il decreto legislativo 3 aprile 2006 già sanciva come «a fini di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, all'interno del perimetro  delle  aree  marine  e  costiere  a  qualsiasi  titolo protette  per  scopi  di  tutela  ambientale,  in  virtu'  di   leggi nazionali,  regionali  o  in  attuazione  di   atti   e   convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca,  di  prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette».


 

Ma anche la Direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare affermava come «l’Unione europea stabilisce gli obiettivi di salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente e di utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali. Istituisce l’obbligo di sostenere tutte le azioni dell’Unione attraverso un alto livello di protezione basato sul principio della precauzione e sui principi dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente nonché sul principio «chi inquina paga». Possiamo dire quindi che il decreto ministeriale 9 agosto 2013 ne è una diretta conseguenza.


 

Se puntiamo poi il nostro guardo sulla Sicilia, notiamo come questa notizia assume ancora più importanza. Nel Canale di Sicilia ci sono, infatti, ben 4 piattaforme marine (Gela, Perla, Prezioso, Vega A) tra Gela e Ragusa, per un totale di 33 pozzi. Nel 2012, afferma il Report di Legambiente “Per un pugno di taniche”, le maggiori produzioni si sono registrate proprio qui nelle piattaforme ubicate nel Canale di Sicilia, dove la piattaforma Vega A ha prodotto da sola oltre il 30% del totale estratto a mare, mentre nell’intera area marina (comprensiva anche delle piattaforme di Gela, Perla e Prezioso) si è prodotto circa il 62% del totale di produzione di greggio marina. Da qui si comprende l’importanza della Sicilia per questo settore.


 

Ci sono poi le richieste per ottenere la concessione di coltivazione dei giacimenti, ovvero le richieste fatte dalle varie compagnie petrolifere che, a seguito delle indagini condotte in precedenza, ritengono di poter passare alla vera e propria estrazione dal sottosuolo degli idrocarburi. In modo particolare sono state fatte due richieste da parte di Eni di fronte a Licata. Senza dimenticarsi, infine, dei permessi di ricerca petrolifera già rilasciati, ben 5 nel canale di Sicilia di cui due sempre a Licata; e di altri 10 permessi richiesti ma momentaneamente ancora non concessi di cui tre della Northen Petrolium sempre a largo di Agrigento.


La Sicilia e il suo bellissimo mare, insomma, sono da sempre preda di multinazionali petrolifere. La bella notizia è che questo decreto può allontanare lo spettro di una gara a chi trivella di più le coste del nostro Paese e soprattutto della Sicilia, evocato a più riprese in tempi non sospetti.

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