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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca

I vaccini generano le varianti? Facciamo chiarezza

Da quando è iniziata la campagna vaccinale si è diffusa la convinzione che i nuovi ceppi di coronavirus siano nati proprio a causa dei sieri anti-covid. Nonostante questo sia un fenomeno teoricamente possibile, vediamo perché si tratta di una teoria errata (almeno fino a questo momento)

In principio era il ceppo originale, poi ha iniziato a mutare, generando le varianti nominate alfa, beta e gamma, fino ad arrivare alla delta, quella che in questo momento è prevalente in Italia e in gran parte dell'Europa. Un viaggio nell'evoluzione del SARS-CoV-2, il virus che provoca la malattia Covid 19, che dalla Cina è riuscito a diffondersi in tutto il globo, cambiando e mutando, cercando di adattarsi all'ambiente per sopravvivere e continuare a circolare. Ma in questo secondo anno di lotta alla pandemia l'uomo ha potuto contare su un'arma in più: i vaccini. Ma cosa c'entrano i vaccini con le varianti? Sono proprio i sieri anti-Covid a generare i nuovi ceppi? Tra le teorie cavalcate dai no-vax e dagli incerti, c'è anche l'ipotesi che siano gli stessi vaccini a permettere al virus di mutare e di diventare più forte e resistente ai sieri.

I vaccini generano le varianti?

Ma davvero è colpa dei vaccini se nascono le varianti? La domanda è senza dubbio complessa, con una risposta che non può limitarsi ad un secco ''no''. Negli ultimi mesi si è diffusa l'opinione (errata) che siano state le campagne vaccinali stesse a indurre il virus a trovare nuovi modi per sfuggire all’azione degli anticorpi prodotti dal sistema immunitario. Eppure, per ''scagionare'' i sieri anti-covid in circolazione basta osservare le tempistiche con cui sono comparsi i nuovi ceppi di coronavirus.

La variante alfa, quella che all'inizio chiamavamo 'inglese', è comparsa in Inghilterra nel settembre del 2020, diversi mesi prima che venissero approvati i vaccini e che iniziassero le somministrazioni a tappeto. Stesso discorso per le varianti beta e gamma, comparse in Sud Africa ed in Brasile a fine 2020, mentre il ceppo delta è comparso per la prima volta nell’ottobre del 2020 nello stato del Maharashtra, in India, per poi prendere il sopravvento nella primavera del 2021, quando ancora la percentuale di persone vaccinate era irrisoria. Le campagne vaccinali hanno avuto inizio a cavallo tra il 2020 e il 2021, motivo per cui la semplice sequenza temporale degli eventi potrebbe bastare per togliere ogni dubbio. Ma non è così. Infatti, il discorso è più complicato, e merita di approfondire alcuni punti chiave.

Come nascono le varianti?

Se è vero che le varianti attualmente in circolazione non hanno nulla a che vedere con i vaccini, non è da escludere che in futuro possa comparire un nuovo ceppo più resistente. Un'eventualità che esiste, ma che va contestualizzata e compresa, partendo dalla modalità con cui il virus si replica e muta. Una spiegazione arrivata tramite Twitter dal virologo Roberto Burioni: ''A un certo punto il virus arriverà alla massima contagiosità, infetterà la maggior parte degli abitanti della Terra e poi darà periodiche ondate epidemiche infettando i nuovi nati, non immuni, quando avranno raggiunto un numero tale da sostenere una trasmissione virale intensa. Questo è accaduto per il morbillo, per la rosolia, per l’epatite A e per tanti altri virus: li abbiamo già trovati belli ed evoluti secoli (o millenni) dopo il loro passaggio all’uomo".

"Il coronavirus ha fatto esattamente la stessa cosa - ha sottolineato Burioni - nel marzo 2020 è comparsa una prima variante che ha preso velocemente il sopravvento, poi è arrivata la variante alfa (inglese) che si trasmetteva di più ed è diventata quella dominante, ora c’è la delta che è ancora più contagiosa di quella alfa e sta velocemente prendendo il suo posto. Come conseguenza, il virus attuale è molto diverso da quello che circolava l’anno scorso: il virus è immensamente più contagioso". 

Ma come avviene la mutazione? Quando un virus entra in una cellula, inizia ad usarne gli apparati per produrre una quantità enorme di copie, duplicati che, in alcuni casi, presentano degli errori. Se pensiamo alla sequenza genetica come un testo che viene trascritto, ci potranno essere variazioni minime ed ininfluenti, ma su larga scala, può capitare che da questi errori nasca una variante addirittura migliore. È proprio il caso della variante delta che, generando una carica virale maggiore, è molto più contagiosa delle versioni precedenti e permette al virus di diffondersi e replicarsi più facilmente. Perché lo fa? Semplice. Il virus, come ogni altra forma di vita, punta alla sopravvivenza della sua specie e, come in ogni altro fenomeno evolutivo, la mutazione spesso viene stimolata dall'ambiente esterno. In questo modo a prendere il sopravvento sarà sempre la variante che meglio si adatta alle circostanze specifiche, ossia quella in grado di sopravvivere ai cambiamenti e alla comparsa di nuovi ''nemici'', come i vaccini per i virus.

Proprio questo meccanismo, come spiegato anche da Burioni, potrebbe portare (il condizionale è d'obbligo) il virus a mutare in una variante resistente al vaccino: " A questo punto la variante conveniente per il virus non è più solo quella che si diffonde di più, ma anche quella che riesce a infettare i già vaccinati. Una simile variante, in assenza di vaccino, non avrebbe alcun vantaggio e non emergerebbe mai. Ma in presenza di vaccinati potrebbe emergere. Quindi, in un certo senso, è la vaccinazione a tappeto a creare le condizioni nelle quali un virus resistente potrebbe emergere. Però -avverte Burioni- non fate l’errore di considerare questo un effetto negativo dei vaccini: senza vaccini la variante non potrebbe emergere semplicemente perché troverebbe la strada libera verso il contagiare tutto il mondo. Il vaccino è un ostacolo che il virus prova a superare con una variante. Ci riuscirà? Questo non possiamo saperlo".

Nessuna variante resiste al vaccino (per ora)

Il fatto che al momento non esista una variante in grado di resistere ai vaccini anti-Covid è stato sottolineato anche da Mike Ryan, direttore esecutivo del programma per le emergenze sanitarie dell’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità), e dagli esperti della Food and Drug Administration e di altri istituti: ''Dato che varianti capaci di eludere la risposta immunitaria sono emerse ben prima che i vaccini fossero distribuiti su larga scala, è difficile prendere in considerazione l’ipotesi che i vaccini stessi o le strategie per distribuirli siano stati fattori importanti nel determinare questa capacità di evasione. Tuttavia, una replicazione virale prolungata in presenza di una immunità parziale potrebbe aver contribuito allo sviluppo di varianti che possono almeno in parte sfuggire alla risposta immunitaria umana” precisa, sottolineando che ciò si potrebbe essere verificato per esempio in pazienti immunocompromessi''. 

Al contrario, secondo gli esperti, è più probabile che nuove varianti ''nascano'' a causa di altre cure: ''L’uso di trattamenti a base di anticorpi, per esempio anticorpi monoclonali o plasma di convalescenti, in circostanze in cui sono di limitata o non dimostrata efficacia, può contribuire ulteriormente alla evoluzione di varianti preoccupanti (VOC, variants of concern) che potrebbero superare non solo la protezione conferita da queste, ma anche da altre risposte anticorpali. Gli interventi con efficacia parziale possono quindi incoraggiare l’evoluzione virale''.

La variante lambda è resistente al vaccino?

La variante delta ha dimostrato di essere molto più contagiosa delle precedenti, tanto da prendere il sopravvento in diversi Paesi. Ma quella che potrebbe diventare il nuovo problema nei prossimi mesi potrebbe essere la lambda, che al momento si è diffusa soprattutto in America Latina, anche se alcuni casi sono stati individuati anche in Italia, Stati Uniti, Canada, Spagna, Francia e Germania. Secondo uno studio realizzato da Kei Sato dell'Università di Tokyo, questo ceppo dovrebbe essere classificato come ''preoccupante''. Il motivo? I ricercatori giapponesi hanno analizzati tre diverse mutazioni nella proteina Spike di questa variante, tre cambiamenti che segnalano la resistenza agli anticorpi che potrebbero (anche qui il condiziona è d'obbligo) rendere meno efficace la copertura del vaccino. L'aumento della contagiosità e la maggiore resistenza ai vaccini rappresentano, secondo gli scienziati nipponici, due validi motivi per cui l'Oms dovrebbe cambiare la classificazione di questo ceppo. 

Qual è la strategia migliore?

Arrivati a questo punto, rimane un ultimo e fondamentale quesito: cosa fare? Il vaccino rimane l'arma migliore per combattere il virus. L'idea di un contagio di massa è totalmente da escludere, come sottolineato sul portale della Fnomceo, la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri: ''L'ipotesi di lasciar circolare il virus perché si crei per via naturale quella che viene impropriamente chiamata immunità di gregge, o immunità di gruppo, è sconsigliata dagli esperti, oltre al fatto che è ritenuta impraticabile e non etica. Maggiore è il numero di persone infette – in maniera sintomatica o asintomatica, con forme gravi o leggere importa poco, se non in relazione al carico virale presente – maggiore è il numero di replicazioni virali e maggiore la probabilità che emergano nuove varianti''.

Secondo i medici, la vaccinazione rimane la soluzione migliore in questo momento, insieme alle misure adottate fin ora: ''La vaccinazione crea immunità senza far affrontare agli individui disagi, pericoli, conseguenze a lungo termine legate alla malattia, ma anche senza far replicare il virus come accade nel corso dell’infezione. Strategie efficaci di salute pubblica come il distanziamento, l’uso delle mascherine, e l’utilizzo mirato di vaccini efficaci che riducano sia l’infezione sia la trasmissione del virus possono aiutare a limitare l’evoluzione virale. Limitare la trasmissione nella popolazione generale è estremamente importante per rallentare la comparsa di ulteriori varianti di preoccupazione''.

In conclusione, come confermato anche dall'Istituto superiore di sanità (Iss), dai primi studi è emersa l'efficacia del ciclo completo dei vaccini già approvati. Vaccini che non hanno causato le attuali varianti, ma non è un'eventualità da escludere in futuro trattandosi di un fenomeno teoricamente possibile. Va però ricordato allo stato attuale delle cose, i vaccini da soli non possono arginare completamente la pandemia: la maggioranza della popolazione non è ancora vaccinata, motivo per cui è più probabile che sia la malattia naturale a creare nuove varianti. Limitare i contagi, sia con i vaccini che con le altre contromisure, è al momento la migliore strategia per evitare che il virus continui a circolare e a mutare,  con il rischio che si trasformi in una variante in grado di rendere i vaccini meno efficaci.

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