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Cronaca Aragona

Strage delle Maccalube, Legambiente: "Riserva sempre aperta sin dal 1995"

Il presidente regionale dell'associazione ambientalista, Gianfranco Zanna, e l’avvocato Maria Letizia Pipitone, ribadiscono di aver agito responsabilmente

“In queste ore sono state diffuse troppe bugie sulle ragioni della condanna di Legambiente Sicilia e dei suoi dipendenti per i tragici fatti delle Macalube di Aragona". Lo dichiarano in una nota Gianfranco Zanna, presidente regionale di Legambiente Sicilia, e l’avvocato Maria Letizia Pipitone, difensore di Legambiente Sicilia, nel processo svoltosi ad Agrigento.

Strage delle Maccalube, due condanne

"Per amore di verità e giustizia - aggiungono l'esponente di Legambiente e l'avvocato - vogliamo innanzitutto precisare che, in attesa delle motivazioni della sentenza, nessuno può conoscere e quindi raccontare l’iter argomentativo che ha  determinato questa ingiusta condanna. In attesa di conoscere le motivazione ed impugnare la sentenza, possiamo però affermare, senza tema di smentita, alcune verità storiche e processuali ben note a chi si occupa di tutela del patrimonio naturale siciliano”.

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“Non è  affatto vero  - sottolineano - che le Riserva naturale delle Macalube di Aragona è stata interdetta ai visitatori sino al 2002, anno in cui Legambiente ne avrebbe invece chiesto la fruizione, e quindi, conseguentemente, creato il pericolo derivante da eventi quali quello accaduto. Questa riserva, come tutte le altre riserve siciliane, è stata istituita dal legislatore regionale perché lo straordinario valore naturalistico e vulcanico fosse tutelato, protetto, conosciuto ed amato dai siciliani e dai turisti. La riserva delle Macalube è fruibile per legge sin dalla sua istituzione datata 16 maggio 1995. Legambiente è ancora oggi l’ente gestore della riserva perché l’indagine amministrativa, effettuata dall’Assessorato Territorio e Ambiente, immediatamente dopo i fatti, ha accertato che nessun rimprovero poteva essere mosso all’associazione per le violazioni della convenzione di affidamento ritenute invece dalla Procura della Repubblica di Agrigento la  principale condotta colposa degli imputati". 

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"Noi non sappiamo perché il giudice ci ha condannati, nonostante la prova provata della correttezza del nostro operato, - si legge ancora nella nota - ma sappiamo per certo che la sentenza insieme a noi ha, soprattutto, condannato il capitale naturale di questa isola che da oggi in poi rischia seriamente di essere abbandonato a se stesso, visto che si può innescare un'azione di 'chiusura' e di 'interdizione alla fruizione' delle nostre bellissime aree naturali protette.  Se questo verdetto, infatti, ha veramente sancito che gli enti gestori di riserve naturali sono i garanti dei pericoli derivanti dalla natura (individuati dalla legge invece in capo alla Protezione civile) ha inferto un colpo mortale al sistema delle riserve naturali, lasciando così mano libera a quanti (troppi) non vedevano l’ora di metterci le mani per interessi speculativi di segno opposto”.

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