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Omicidi

Una lunga scia di sangue, l'Agrigentino sotto choc per quei 6 omicidi in 18 giorni

Dalla strage di Licata - dove per dissidi familiari legati all'eredità un 48enne ha sterminato una famiglia - alla follia di Raffadali, dove il padre ha sparato e ucciso il figlio 24enne in piazza. L'ultimo episodio a Palma di Montechiaro. "Malesseri profondi all'interno della società e delle famiglie"

Tre tragedie, tutte inspiegabili e tutte verosimilmente legate all'incapacità di gestire le emozioni e tensioni, in appena diciotto giorni. Nell'intera provincia da ieri sera riecheggiano in diversi cittadini, un paio di interrogativi: "Ma cosa sta succedendo?", "Sono/siamo tutti impazziti?". Domande più che legittime dato che, questa provincia, era da anni e anni che non assisteva - in così rapida successione - a omicidi efferati e, appunto, senza un movente "malavitoso". 

Era il 26 gennaio scorso quando, a Licata, per una lite sull'eredità di ettari ed ettari di campi coltivati a primizie locali, Angelo Tardino di 48 anni ha compiuto una vera e propria strage uccidendo il fratello Diego, la cognata Alessandra Ballacchino e i due nipotini di 15 e 11 anni. L'uomo dopo essersi dato alla fuga da contrada Safarello si è poi sparato in macchina ed è morto, nonostante i soccorsi, all'ospedale Sant'Elia di Caltanissetta. 

Strage a Licata, lite per l'eredità: uccide 4 familiari e poi si spara

Da Licata a Raffadali dove il primo febbraio, in piazza Progresso, a colpi di pistola (ne sarebbero stati esplosi 15) è stato ucciso il ventiquattrenne Vincenzo Gabriele Rampello. A sparare il padre del ragazzo: Gaetano, 57 anni, assistente capo coordinatore della polizia di Stato in servizio decimo reparto Mobile di Catania.

Già quello stesso giorno, il procuratore capo Luigi Patronaggio ha parlato di "tragica ed inaudita violenza". Episodi (quelli di Licata e Raffadali ndr.) che "hanno evidenziato malesseri profondi all'interno della società e delle famiglie, acuiti dal grave isolamento provocato dalla pandemia e non adeguatamente contenuti da un sistema socio-sanitario assistenziale non sempre pronto ad erogare idonei servizi alla collettività", dice il capo dei pm di Agrigento. "Troppo spesso - ha aggiunto Patronaggio - quelli che vengono definiti 'gesti di follia' sono il portato di conflitti sociali e familiari che il 'sistema', inteso in senso ampio e non escluso quello giudiziario non è stato in grado di adeguatamente e legittimamente arginare e contenere". A farsi portavoce dello sbigottimento generale, sempre all'inizio del mese, dopo l'omicidio di Raffadali, anche l'arcivescovo di Agrigento, monsignor Alessandro Damiano: "Un ulteriore segnale di fragilità, che ci lascia sgomenti e richiede da parte di tutti una maggiore attenzione alle nuove povertà di questo tempo". 

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Ieri pomeriggio, poi, a Palma di Montechiaro, il nuovo fatto di sangue: Angelo Incardona di 44 anni ha prima tentato di uccidere i suoi genitori, rimasti feriti per fortuna soltanto di striscio, e poi ha ucciso - sparandogli una raffica di colpi - l'imprenditore Lillo Saito di 65 anni. 

Inevitabili, dunque, gli interrogativi che già da ieri, tanti agrigentini, si ponevano: "Ma cosa sta succedendo?", Siamo tutti impazziti?". Domande che - a prescindere dalle analisi sociologiche o religiose - al momento restano senza risposte precise. L'unica certezza è che l'Agrigentino, in poco più di due settimane, ha visto materializzarsi, con occhi increduli e sgomenti, una lunga scia di sangue.  

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