Quei "fantasmi" che sbarcano a Lampedusa e che non interessano più a nessuno, eppure hanno un nome, delle storie e dei drammi alle spalle
Diciannovenne della Guinea, riferendo sull'incendio scoppiato sul barchino che ha ucciso due bambini, ha offerto un "ordinario" squarciato di sofferenza, raggiri, privazioni, sacrifici per poter mettersi in viaggio e rischiare di morire
Hanno un nome, una storia che è molto spesso contrassegnata da violenze e drammi. Quando sbarcano a molo Favarolo, a Lampedusa, dopo aver rischiato di morire durante la traversata, sono semplicemente dei "fantasmi". Uomini e donne che, tavolta, se "raccolti" da diversi barchini, dalla stessa motovedetta di soccorritori, indossano dei braccialetti di colore diverso.
L'incendio scoppiato sul barchino e i bimbi morti carbonizzati: fermati due senegalesi
Video e foto di soccorsi e sbarchi non fanno più nessuno scalpore, spesso non vengono degnate di uno sguardo (ossia lette) nemmeno le notizie che riportano di drammatici bilanci: bambini morti ustionati, neonati dispersi, uomini e donne annegati, cadaveri recuperati. Ci si è, purtroppo, abituati. E quei "fantasmi" tali restano anche dopo che da Lampedusa vengono trasferiti altrove, passando per Porto Empedocle e magari anche rimanendo a zonzo, per giorni e giorni, in piazzale Rosselli.
Eppure hanno storie. E per arrivare fino al "deposito" Italia hanno passato le pene dell'inferno prima e rischiato di morire durante il viaggio.
Bimbi morti ustionati sul barchino, il racconto di un sopravvissuto: "Quattro persone trascinate dalla corrente sono annegate"
L'ultima inchiesta della Procura di Agrigento, che è coordinata dal facente funzioni Salvatore Vella, quella sull'incendio divampato sul barchino, ha fatto emergere squarciati di odissea. I sopravvissuti non hanno parlato soltanto della tragedia verificatasi sul natante, ma anche di quello che avevano fatto e vissuto prima di poter partire. Così il diciannovenne della Guinea - uno dei 5 sopravvissuti testimoni, le cui dichiarazioni hanno portato al fermo dei due presunti scafisti senegalesi - ha così raccontato: "Ho lavorato dal 2021 in Tunisia fino alla mia partenza per l’Italia, nelle piantagioni di datteri. L'ho fatto per mettere un po' di soldi da parte, per potere quindi affrontare il viaggio. Nel 2021, ho tentato di raggiungere l’Itali e ho pagato 1.300 euro a un trafficante della Costa d’Avorio che vive in Tunisia, che si faceva chiamare 'Sec'. Pe cause a me sconosciute, non mi ha fatto partire, perdendo i soldi che avevo pagato. Sono rimasto in contatto con 'Sec', il quale, questa seconda volta, dietro il pagamento di 800 euro, guadaganti nella piantagione di datteri, mi ha fatto partire". Parole che non raccontano forse nulla di nuovo, ma che offrono appunto un "ordinario" squarciato di sofferenza, raggiri, privazioni, sacrifici per poter mettersi in viaggio e rischiare appunto di morire. Perché il diciannovenne, nonostante l'incendio divampato sul "suo" barchino, nonostante sia stato per ore ed ore in acqua in attesa dei soccorsi, è riuscito a toccare terra di Lampedusa prima e di Porto Empedocle dopo.