rotate-mobile
La ricorrenza

La città dei templi festeggia il suo patrono: il messaggio dell’arcivescovo per San Gerlando

Mons. Alessandro Damiano, a tutta la comunità ecclesiale e civile, rivolge una “parola di consolazione in tempi di crisi finanziaria, pandemia e guerre”: ecco il testo integrale

Fratelli e sorelle nel Signore, desidero cogliere l’occasione della ricorrenza annuale della festività del Nostro Patrono san Gerlando (+ 25 febbraio 1100), per rivolgere alla Comunità ecclesiale e civile non solo un saluto e un augurio, come si è soliti fare in queste occasioni, ma anche una parola di consolazione. I tempi che stiamo vivendo sono «tempi duri»: crisi finanziaria, pandemia, guerre.

Una possibile etimologia del termine «consolare» è «stare con chi è solo».

Il vescovo di Agrigento non vi lascia soli! Una modalità per camminare insieme - nel linguaggio ecclesiale si direbbe «sinodalità» - è quella di parlarsi. Scrivendovi questo messaggio spero proprio di «consolarvi», di farmi vicino a ciascuna e a ciascun agrigentina/o della Città e dell’intera Diocesi.

Non sto qui a riscrivere la storia e la biografia di san Gerlando, ma desidero solamente ricavare dalla sua vicenda terrena alcuni «segnali di pista» utili, ritengo, per il nostro camminare nell’oggi. Tre segnali che riassumo in tre parole: 1) migrazione, 2) evangelizzazione, 3) rigenerazione. 

Migrazione. Gerlando, lo si sa, non era un agrigentino di nascita e nemmeno un siciliano. Potremmo definirlo un «illustre emigrato». Nativo di Besançon, in Francia, approda nelle nostre terre dopo l’entrata dei normanni guidati da Ruggero I degli Altavilla il 25 luglio 1086 divenendo in seguito vescovo di Agrigento.

Gerlando è dunque un’emigrante che si incultura e integra. Oggi la nostra diocesi e provincia è, specialmente a Lampedusa, luogo d’approdo di emigrati. L’immigrazione comporta accoglienza e integrazione. Non basta accogliere «spazialmente», ci ricorda la vita di san Gerlando, ma occorre fare il possibile per favorire un’integrazione sociale e una inculturazione, un dialogo tra culture. 

Potrebbe destare meraviglia come la cultura cristiana, che da due millenni è parte integrante dell’identità europea, non abbia influito sul modo di vedere il fenomeno migratorio. La costruzione di frontiere costituite da barriere fisiche, pregiudizi, presunzione di superiorità culturale e finanziaria, dalla paura del diverso, è uno dei sintomi più evidenti di quelle che il Papa chiama «le ombre di un mondo chiuso» (Cfr. FT 9). Proprio l’immagine di «un mondo senza frontiere» ci viene consegnata dal Santo Padre nella «Fratelli Tutti»; si mostra in questa espressione tutto il progetto dell’Enciclica: un mondo pieno di muri, torri e recinzioni è destinato al fallimento.

Al migrante cristiano, che riesce ad approdare sulle nostre coste, siamo chiamati a mostrare il volto fraterno e accogliente della Chiesa che accoglie il fratello piagato e spesso vittima di persecuzione.

Al migrante non cristiano siamo in dovere di mostrare una comunità coerente con il Vangelo che predica e celebra.

Evangelizzazione. Gerlando ha evangelizzato le nostre terre, ossia ha annunciato la persona di Gesù, crocifisso e risorto da morte, figlio di Dio fatto uomo. L’annuncio cristiano, proclamando il fatto dell’incarnazione, comporta come «effetto collaterale» l’annuncio della dignità insopprimibile di ogni uomo e di ogni donna, della vita umana, di ogni vita umana, di ogni persona. «Con l’incarnazione – ci ricorda il concilio Vaticano II – il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» (Gaudium et spes 22). Papa Francesco, nella Evangelii Gaudium, ci ricorda che «l’impegno evangelizzatore si muove tra i limiti del linguaggio e delle circostanze. Esso cerca sempre di comunicare meglio la verità del Vangelo in un contesto determinato, senza rinunciare alla verità, al bene e alla luce che può apportare quando la perfezione non è possibile. Un cuore missionario è consapevole di questi limiti e si fa “debole con i deboli […] tutto per tutti” (1Cor 9,22). Mai si chiude, mai si ripiega sulle proprie sicurezze, mai opta per la rigidità autodifensiva. Sa che egli stesso deve crescere nella comprensione del Vangelo e nel discernimento dei sentieri dello Spirito, e allora non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada» (EG 45). Le nostre comunità continuino a dire «Gesù il Cristo» con cuore missionario e con la certezza che «chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, si fa lui pure più uomo» (GS 41)

Rigenerazione. San Gerlando è considerato il rifondatore della diocesi agrigentina, dopo la presenza musulmana dal 829 al 1086. La situazione economica e sociale non era florida. Eppure Gerlando si è «rimboccato le mani», ha ricominciato rigenerando e dando speranza. È l’uomo del ri-cominciare, del nuovo inizio, della ri-generazione. In breve: Gerlando è l’uomo della speranza! Ma affinché ciò non sia solo un sogno, occorre la collaborazione di tutti e di ciascuno. Occorre inter-azione. 

Abbiamo bisogno - Istituzioni civili, Comunità ecclesiale, Associazioni di categoria,  Volontariato, uomini e donne di buona volontà - di dialogo per ritrovare il senso autentico della Città e della sua vivibilità, della casa comune, di una rinnovata passione per l’uomo. Riscoprire il senso pieno del diritto-dovere del lavoro, e di organizzarlo in termini di sicurezza, combattendo la disoccupazione, aprendo prospettive ai giovani. Superando la mentalità mafiosa che ancora connota tanti dei nostri atteggiamenti; penso al ruolo della scuola quando Bufalino scrive che «la mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari».

Concludo: Gerlando ci ricorda che l’immigrazione è integrazione, l’evangelizzazione è promozione, la rigenerazione è interazione!

Auguri, dunque. Che San Gerlando continui a pregare e a intercedere per noi. Serena e speranzosa festa di san Gerlando a tutti voi!

In Evidenza

Potrebbe interessarti

La città dei templi festeggia il suo patrono: il messaggio dell’arcivescovo per San Gerlando

AgrigentoNotizie è in caricamento