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Cronaca

"Russiagate", i riflettori internazionali si accendono anche su Agrigento

Joseph Mifsud, l'uomo chiave dell'inchiesta americana, è stato presidente del Consorzio universitario ed è stato condannato per danno erariale

Dagli Stati Uniti a Roma, passando per Londra, Mosca e Zurigo, e arrivando anche - ma solo come memoria storica di fatti passati - ad Agrigento. C'è un uomo, ritenuto essere "l'uomo chiave del Russiagate", di cui - a livello internazionale - si continua a parlare con insistenza. E a quanto pare, lo cercano anche dalla Regione Siciliana. E' Joseph Mifsud: ex presidente del Consorzio universitario di Agrigento, nominato nell'aprile del 2009 e il cui mandato è scaduto nel 2012. 

L'ex presidente del Cua Joseph Mifsud coinvolto nel "Russiagate"

Mifsud, nel settembre dello scorso anno, è stato condannato - dalla Corte dei Conti - a risarcire al Consorzio universitario di Agrigento, a cui avrebbe cagionato un danno, oltre 49.300 euro. La vicenda, scaturita da un esposto anonimo, riguarda lo stipendio e l'indennità di risultato dell'ex segretario generale Giuseppe Vella. I giudici, allora, tentarono di raggiungere Mifsud in una delle numerose università italiane presso cui lavora, ma sempre senza risultato, tanto da decidere, alla fine, di processarlo e condannarlo in contumacia.

"Ha provocato un danno erariale al Cupa", condannato Joseph Mifsud

Negli ultimissimi giorni, i media nazionali e internazionali hanno parlato di due cellulari appartenuti proprio a Joseph Mifsud che sarebbero comparsi a Washington, ma fonti qualificate dei servizi segreti italiani hanno fatto sapere di non aver consegnato alle autorità americane alcun cellulare. Mifsud è diventato l'elemento chiave del "Russiagate" perché avrebbe confidato a Papadopoulos, che allora era uno dei consiglieri di Donald Trump, di come la Russia fosse in possesso di molte mail dei Democratici che in qualche modo potevano compromettere Hillary Clinton, la sfidante del tycoon alle elezioni. Quando nel 2017 il professore venne interrogato dall’Fbi, negò di aver parlato di mail con l’americano ma soltanto di averlo introdotto in ambienti moscoviti.


 

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