"Raid in trasferta in un'azienda agricola", la prescrizione salva tre imputati
Sono stati scoperti grazie agli accertamenti del Ris, il decorso del tempo cancella le accuse
"Non doversi procedere per intervenuta prescrizione": dopo una complessa indagine, nella quale sono intervenuti pure i carabinieri del Ris di Messina, per comparare scarpe e tracce ematiche presenti sui luoghi, il decorso del tempo spazza via le accuse per tre licatesi accusati di avere compiuto un raid in trasferta a Butera, in un'azienda agricola dove sarebbero stati rubati numerosi oggetti di ferro, cavi elettrici e bombole esauste.
Il giudice monocratico del tribunale di Gela, Antonio Fiorenza, ha prosciolto, ritenendo che il decorso del tempo abbia fatto cadere in prescrizione i reati: Salvatore Sirone, 42 anni, Melchiorre Salvatore Alabiso, 47 anni e Rosario Consagra, 53 anni. I tre imputati, difesi dagli avvocati Angelo Benvenuto e Dario Granvillano, erano accusati di furto aggravato.
L'episodio al centro del processo risale al 27 aprile del 2013. All'interno di un'azienda agricola nella campagne di Butera fu messo a segno un furto. Un vero e proprio raid in cui i ladri portarono via tutto il materiale ferroso che si trovava all'interno, fra cui cavi elettrici e bombole esauste. La titolare, dopo essersi accorta che era stata derubata, chiamò i carabinieri e sul posto intervenne anche il reparto di investigazioni scientifiche per eseguire degli accertamenti utili che consentissero di risalire agli autori del raid.
Gli esami scientifici e altri elementi di indagine portarono all'identificazione dei tre imputati che furono denunciati, per l'ipotesi di reato di furto aggravato, ma non furono mai raggiunti da alcuna misura cautelare. Tre anni fa, conclusa l'istruttoria delle indagini preliminari, è stata disposta la citazione diretta a giudizio.
Il processo, però, partito tardi e sospeso per alcuni mesi come tutta l'attività giudiziaria a causa dell'emergenza Covid, si è concluso con una sentenza che dichiara la prescrizione.
Non la pensava così il pubblico ministero Manola Cellura che aveva concluso la requisitoria chiedendo la condanna a 1 anno e 2 mesi di reclusione e 600 euro di multa. I difensori, gli avvocati Benvenuto e Granvillano, avevano invece chiesto l'assoluzione "per non avere commesso il fatto".