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Cronaca Palma di Montechiaro

"Cocaina nascosta nei contatori della luce e smerciata a domicilio", cinque condanne e due assoluzioni

Inflitte pene per oltre 40 anni di carcere per i presunti componenti della rete di spaccio sgominata nel febbraio di due anni fa

Cinque condanne, per quasi quaranta anni di carcere, e due assoluzioni. Il giudice Alessandro Quattrocchi, nel tardo pomeriggio, ha emesso la sentenza del processo a carico di sette imputati, accusati di gestire una grossa piazza dello spaccio di cocaina a Palma di Montechiaro. 

L'inchiesta, coordinata dal pubblico ministero Chiara Bisso, che questa mattina aveva concluso la sua requisitoria chiedendo la condanna per tutti gli imputati, il 14 febbraio del 2018 ha fatto scattare l'operazione, eseguita dalla polizia, con cinque arresti. Ai domiciliari, con l'applicazione del braccialetto elettronico, erano finiti i palmesi Domenico Pace di 35 anni; Nunzio Spina di 44 anni;  Carmelo Capizzi, 46 anni; Franco Lo Manto, originario di Palermo, ma residente a Palma di Montechiaro, di 46 anni e Luigi Parolisi, originario di Napoli, ma residente a Palermo, di 35 anni. In stato di libertà, su decisione del gip Francesco Provenzano che aveva rigettato le misure cautelari, erano rimasti tre indagati: Angelo Cani, 28 anni; Calogero Allegro, 32 anni e Rosa Marino, 32 anni, moglie di Domenico Pace; tutti palmesi.

Parolisi è stato giudicato separatamente. Per tutti gli altri oggi è stata emessa la sentenza di primo grado. Eccola nel dettaglio, fra parentesi le richieste di pena del pm Chiara Bisso: Lo Manto, 9 anni e 2 mesi (11 anni); Spina, 9 anni (10 anni e 6 mesi); Capizzi, 7 anni e 8 mesi (9 anni e 6 mesi); Pace, 7 anni e 10 mesi (10 anni e 6 mesi); Marino, 8 mesi (6 anni); Cani, assoluzione (4 anni e 6 mesi); Allegro, assoluzione (4 anni e 9 mesi). 

La requisitoria e le arringhe dei difensori (gli avvocati Santo Lucia e Maria Licata) si sono concluse fra la mattina e il pomeriggio. Subito dopo il giudice si è ritirato in camera di consiglio e ha emesso il verdetto. Gli imputati, secondo l'accusa, nascondevano la cocaina nelle cassette dei contatori dell’acqua o del gas, all’esterno delle loro abitazioni. Per parlare dello stupefacente, utilizzavano un linguaggio in codice: “caffè” oppure “carne”.

"I pedinamenti e le intercettazioni audio e video - ha ricostruito il pm - hanno consentito di accertare che la droga veniva spacciata direttamente a domicilio da Lo Manto e dagli altri componenti della rete". 

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