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Giovedì, 28 Marzo 2024
Riparte il processo / Raffadali

Pensionato ucciso a colpi di pistola nella sua casa di campagna: il caso approda in appello

Il collaborante Antonino Mangione (al quale sono stati inflitti 16 anni di reclusione) aveva riferito che l'omicidio di Pasquale Mangione era stato commissionato dal figlio della vittima perchè molestava donne sposate in paese. Il movente è stato smentito e sono finiti a giudizio solo gli esecutori: 30 anni al 36enne Angelo D'Antona

Il 3 luglio davanti alla seconda sezione della Corte di assise di appello: riparte il procedimento per l'omicidio di Pasquale Mangione, il pensionato di Raffadali freddato il 2 dicembre del 2011 nella sua casa di campagna di contrada Modaccamo.

La sentenza di primo grado è stata emessa, lo scorso 25 luglio, dal gup del tribunale di Agrigento, Stefano Zammuto che ha inflitto 30 anni di reclusione al trentaseienne Angelo D'Antona e 16 anni ad Antonino Mangione, 42 anni, che ha collaborato con gli inquirenti raccontando di avere ricevuto l'incarico di commettere l'omicidio e di averlo organizzato ingaggiando due esecutori materiali.

Il delitto del sessantanovenne è avvenuto in contrada Modaccamo, strada di campagna fra Raffadali e Cianciana, il 2 dicembre del 2011. A svelare i retroscena della vicenda è stato Antonino Mangione che si è autoaccusato di avere organizzato l'omicidio tirando in ballo uno dei figli della vittima, in un primo momento indagato con l'accusa di essere stato il mandante. 

"Mi chiese se potevo organizzare l'omicidio del padre, era diventato un fastidio per lui perchè andava in giro a molestare donne in paese. Mi diede 5mila euro che spartimmo con Roberto Lampasona e Angelo D'Antona, altri 1.300 euro li pagò a parte per la pistola che acquistai da un palmese". Così il collaborante aveva raccontato la decisione di uccidere il pensionato. 

A commettere materialmente l'omicidio, secondo il racconto di Mangione, sarebbero stati Lampasona e D'Antona. Il collaborante aveva aggiunto: "Ho chiesto l'autorizzazione a Francesco Fragapane (condannato con l'accusa di essere il nuovo capo mandamento) che mi disse che la vittima non apparteneva a Cosa Nostra e, in definitiva, potevamo fare quello che volevamo". 

La posizione di Lampasona è stata stralciata perchè la Procura non ha notificato, per un disguido, l'avviso di conclusione delle indagini a uno dei difensori, con la conseguenza che l'ordinanza di custodia cautelare in carcere era decaduta per scadenza dei termini. La posizione del figlio della vittima è stata, invece, archiviata per mancanza di riscontri. Il processo è in corso davanti alla Corte di assise di Agrigento.

Il pm Sara Varazi (che aveva chiesto l'ergastolo per D'Antona e 16 anni per Antonino Mangione) aveva sottolineato nella requisitoria che, pur non essendoci conferme sul movente, le intercettazioni che coinvolgevano Lampasona e D'Antona sono "emblematiche del loro coinvolgimento". 

I difensori di D'Antona - gli avvocati Salvatore Pennica e Teresa Alba Raguccia - hanno sostenuto l'estraneità alle accuse. L'avvocato Pennica, in particolare, aveva rappresentato la vicenda che ha visto coinvolto il collaborante tirato in ballo dall'ex compagna che lo ha accusato di essere stato pagato per mentire.

La sentenza è stata impugnata pure dal difensore di Antonino Mangione, l'avvocato Valentina Tranchina.

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