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Cronaca

Neonato morto dopo trasferimento con 7 ore di ritardo, triplicato risarcimento ai genitori

La Corte di appello stabilisce che l'Asp dovrà pagare 300 mila euro per avere provocato il decesso del piccolo

Il trasferimento all’ospedale “Di Cristina” di Palermo con sette ore di ritardo perché l’elicottero era impegnato e c’era una sola ambulanza. L’attesa è stata troppo lunga per tamponare i gravi problemi respiratori del bimbo appena nato che morì poco dopo essere arrivato nella struttura palermitana.

Per i genitori, dal cui esposto ne scaturì un’inchiesta penale a carico dei medici, in seguito archiviata, la Corte di appello ha triplicato il risarcimento del danno, che dovrà pagare l’ospedale di Agrigento, rispetto alla sentenza di primo grado. La vicenda risale al 2001. Dopo il parto, per la comparsa di problemi respiratori, i medici decisero il trasferimento perché il San Giovanni di Dio era sprovvisto del reparto di terapia intensiva neonatale. Tuttavia, al momento di salire sull’elisoccorso, per il sopravvenire di un’altra urgenza, dai sanitari veniva deciso che il trasferimento del neonato sarebbe avvenuto non più con l’elisoccorso ma mediante ambulanza.

Ma visto che l’ospedale disponeva di una sola ambulanza e doveva attendersi il suo rientro, di fatto il trasferimento avveniva dopo ben sette ore, con la conseguenza che una volta arrivato al Di Cristina, munito di terapia intensiva neonatale, il neonato moriva a causa di una gravissima insufficienza respiratoria. La madre, dopo l’archiviazione dell’inchiesta penale da parte del gip, secondo cui non emergevano indizi di responsabilità, intraprendeva una causa civile contro l’ospedale di Agrigento rivolgendosi agli avvocati Angelo Farruggia e Annalisa Russello, i quali hanno sostenuto in giudizio che la struttura doveva considerarsi responsabile a causa dell’insufficienza delle dotazioni strutturali, “ritenendo assurdo che un ospedale, come quello di Agrigento, avesse a disposizione una sola ambulanza”. Il tribunale, con sentenza del maggio del 2013, in base alla perizia medico-legale, affidata al docente Livio Milone, con la quale veniva affermato che il ritardo di circa sette ore nel trasferimento, causato dalla mancata disponibilità di altre ambulanze, “aveva ridotto ogni probabilità di sopravvivenza”, aveva condannato l’ospedale di Agrigento, quindi, l’Azienda sanitaria provinciale, a risarcire la giovane madre.

Tuttavia, rispetto alla somma richiesta di 300.000 euro, il tribunale aveva ridotto l’entità del risarcimento, a soli 100.000, ritenendo che il ritardo avese determinato solo “la perdita di chance di sopravvivenza”. Aveva, inoltre, liquidato sulla somma di 100.000 euro, solo gli interesi legali dalla data della sentenza (maggio 2013) fino al pagamento. 

Considerata “ingiustificata la riduzione del risarcimento decisa dal tribunale”, gli avvocati Angelo Farruggia e Annalisa Russello hanno impugnato la sentenza, ritenendo che il tribunale avesse errato nel ritenere che il caso potesse inquadrarsi nell’ipotesi della perdita di chance. Al contrario, ha sostenuto l’avvocato Farruggia, “il tribunale doveva limitarsi a stabilire se il trasferimento con l’elisoccorso e, comunque, la disponibilità di più ambulanze, quindi, il tempestivo trasferimento, avrebbe probabilmente salvato la vita del neonato”. Anche l’Asp aveva impugnato la sentenza, sostenendo che nessun risarcimento spettava alla madre del neonato.

La Corte di Appello, ha rigettato l’appello dell’Asp, e, accogliendo la tesi sostenuta dai legali agrigentini, ha condannato l’Azienda a corrispondere alla madre il risarcimento per intero, nella misura di 300.000 euro. 
 

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