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Giovedì, 25 Aprile 2024
Il provvedimento / Canicattì

ll padre e il nonno furono coinvolti in inchieste di mafia: 30enne ottiene porto d'armi dal Tar

La Questura gli aveva negato il documento. La difesa: "Uno è stato assolto in appello dall'accusa di associazione mafiosa e l'altro è morto da 9 anni non potendo esercitare alcuna influenza su di lui"

Due familiari furono coinvolti nell'inchiesta "Alta mafia" e la Questura gli aveva negato il porto d'armi per uso sportivo. Il Tar, al quale si sono rivolti i difensori -, gli avvocati Paolo Ingrao e Luigi Fazio Gelata - ha ribaltato il provvedimento ritenendolo infondato.

Protagonista della vicenda è un trentenne di Canicattì, il cui padre e nonno, adesso entrambi morti, sono stati coinvolti nell'inchiesta "Alta mafia" che ha disarticolato un complesso intreccio affaristico criminale. Entrambi erano stati condannati in primo grado per l'accusa di associazione mafiosa, il padre in appello è stato poi assolto.

Sulla base di questo precedente - senza, però, tenere in considerazione il proscioglimento del padre, intervenuto prima dell'adozione del provvedimento - la Questura di Caltanissetta (il trentenne è residente in una zona di campagna poco al di là del confine) aveva rigettato la richiesta ritenendo che fosse una "persona controindicata".

I difensori hanno sottolineato che, nel frattempo, era stata emessa la sentenza di assoluzione nei confronti del padre e che il nonno, col quale non aveva mai convissuto, è morto da oltre dieci anni e non poteva in alcun modo avere influito negativamente su di lui. 

"La mera sussistenza di un rapporto di parentela o d'affinità con un soggetto pregiudicato ma non convivente - scrivono i giudici del Tar - non è, di per sé e in assenza di ulteriori elementi, indice di una capacità di abuso delle armi".

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