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Mafia

"Francesco Fragapane aveva un peso mafioso già 20 anni fa", le rivelazioni in aula di Quaranta

Il collaboratore di giustizia, che racconta di essere stato scarcerato, spiega: "Fu interpellato pure quando Di Gati e Falsone si contendevano la leadership di Cosa Nostra"

"Sono stato capomafia di Favara e referente del capomandamento di Santa Elisabetta Francesco Fragapane, fin dai primi anni Duemila contava molto e ha inciso anche nell'ascesa del boss Giuseppe Falsone al vertice di Cosa Nostra provinciale". Il pentito Giuseppe Quaranta irrompe al processo di appello Montagna, dove è imputato insieme ad altri 44 imputati, e ridisegna la storia di Cosa Nostra agrigentina degli ultimi anni.

La sua audizione era stata chiesta ai giudici dal sostituto procuratore generale Maria Teresa Maligno e, all'udienza precedente, era stata interrotta e rinviata per un curioso inconveniente: lo stesso magistrato della pubblica accusa aveva comunicato di avere appreso in diretta di essere entrato in contatto con un sospetto caso di Covid. 

L'udienza è ripresa e il collaboratore di giustizia, rispondendo anche ai difensori (fra gli altri fanno parte del collegio gli avvocati Giovanni Castronovo, Angela Porcello, Antonino Reina, Giovanni Vaccaro e Giuseppe Barba) ha ricostruito alcune tappe che hanno portato all'operazione, scattata il 22 gennaio del 2018, che ha fatto scattare decine di arresti nei confronti di presunti affiliati, estorsori, boss e altri personaggi ritenuti legati alle famiglie mafiose della provincia di Agrigento. Quaranta, arrestato nell'ambito di questa inchiesta e da subito divenuto collaboratore di giustizia, ha raccontato di non essere più in carcere. "Sono agli arresti domiciliari - ha detto rispondendo all'avvocato Castronovo -, la mia collaborazione è stata genuina. Nei primi sei mesi non ho avuto contatti con nessuno e non mi sono documentato su nulla". 

Il collaboratore di giustizia, la cui audizione continuerà il 30 dicembre anche alla luce dell'acquisizione di nuovi verbali (quelli della sua deposizione dello scorso ottobre al carcere Rebibbia, a Roma, nello stralcio ordinario del processo), ha raccontato di essere stato il braccio destro di Francesco Fragapane rivelando che, nei primi anni Duemila, quando Maurizio Di Gati e Giuseppe Falsone si contendevano la leadership di Cosa Nostra in provincia, l'allora giovanissimo rampollo della famiglia (condannato a 20 anni in primo grado), figlio dell'ex capoprovincia Salvatore Fragapane, ebbe un ruolo decisivo anche se, di fatto, perdente. "In quel periodo c'erano due linee, quella di Falsone e quella di Fragapane. Di Gati stava con Fragapane anche se dalla sua famiglia arrivò ugualmente il benestare per Falsone". 

Una versione del tutto inedita e, come sottolineato da Castronovo al momento di porre la successiva domanda, "molto anomala visto che Francesco Fragapane aveva poco più di 20 anni in quegli anni". Quaranta, che ha raccontato alcuni dettagli di due estorsioni oggetto del processo, ha aggiunto che "la famiglia di Raffadali era composta da Salvatore Iacono Manno e Antonino Vizzì". 

Il processo riprende il 30 dicembre per completare l’audizione di Quaranta.

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