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Operazione Kerkent

Pentito mancato depone in barella: "Massimino? Un chiodo fisso, ha abusato di mia moglie"

Antonino Mangione, che accusa il boss di Villaseta e altri due imputati di avere commesso una violenza ai danni della donna per vendicare una truffa, è stato prelevato dalla struttura dove è ricoverato e ha testimoniato con l'assistenza dei paramedici

"Antonio Massimino? E' un chiodo fisso, ha abusato di mia moglie. Non ho potuto difenderla perchè sono malato, quando siamo andati via piangeva per quello che era successo". Antonino Mangione, il 43enne collaborante che accusa Antonio Massimino e Gabriele Miccichè di avere sequestrato l'ex compagna per palpeggiarla, ha deposto in aula coricato su una barella e assistito dal personale di un'ambulanza che lo ha trasportato in tribunale, insieme alla polizia penitenziaria, dalla struttura della provincia dove è ricoverato.

Mangione, mai inserito nel programma di protezione, nonostante gli affanni che hanno reso necessaria la sospensione dell'udienza per alcuni minuti, è apparso lucido e la sua deposizione è durata più dei 20 minuti indicati come termine massimo dal perito che lo aveva visitato. 

Il processo, scaturito dall'inchiesta antimafia "Kerkent", che avrebbe disarticolato il clan di Massimino, è alle battute decisive davanti al collegio di giudici presieduto da Alfonso Malato. In questo troncone sono imputati in sette. Si tratta di Pasquale Capraro, 30 anni; Angelo Cardella, 50 anni; Francesco Luparello, 50 anni; Saverio Matranga, 44 anni; Gabriele Miccichè, 31 anni; Calogero Trupia, 36 anni e Angelo Iacono Quarantino, 30 anni.

Mangione ha accusato alcuni imputati di essere stato vittima di una rappresaglia, con tanto di sequestro di persona e abusi sessuali subiti dalla compagna, per una truffa commessa ai danni di un commerciante d'auto. La sua versione non ha retto al processo in due gradi di giudizio: Massimino e un altro imputato sono stati assolti nell'altro stralcio. 

"Siamo andati in una casa di Agrigento - ha detto Mangione rispondendo ai pubblici ministeri Alessia Sinatra e Claudio Camilleri -, mi ci ha portato Gabrielone Miccichè. Massimino ha abusato di mia moglie, l'ha palpeggiata e l'ha baciata. Cosa dovevo fare? Dargli un pugno? In queste condizioni non ero in grado, Massimino ha iniziato pure a dirle cose volgari, quando siamo andati via mia moglie piangeva".

Mangione ha confermato il movente di quella che, a suo dire, sarebbe stata l'aggressione ai danni della compagna, che precisa di volere chiamare moglie in quanto madre dei suoi figli, ma ha ammesso di avere avuto un debito di droga di circa 10.000 euro col boss. Sarebbe proprio questo, secondo la difesa di Massimino, che lo avrebbe spinto ad accusarlo falsamente.

La donna, peraltro, dopo avere interrotto la relazione col collaboratore, ha ritrattato dicendo di essere stata costretta a mentire dall'ex compagno. Il difensore di Miccichè, l'avvocato Salvatore Pennica, ha chiesto, quindi, ai giudici un confronto fra Mangione e la donna. Il collegio presieduto da Alfonso Malato deciderà all'udienza del 27 aprile.

Mangione sarà sentito pure in un altro processo, davanti ai giudici della seconda sezione penale, presieduta da Wilma Angela Mazzara, dove sono imputati Vincenzo Mendola, 50 anni, cognato del boss Massimino e Giuseppe Gallo, di un anno più grande. I due sono accusati di avere minacciato Mangione e la compagna per costringerlo a ritirare le denunce. "Ascolta, Antonio Massimino è mio fratello. Devi andare subito a ritirare la denuncia e devi fare uscire la notizia sul giornale che ti sei inventato tutto e che sei pazzo". Il collaborante e la compagna, con queste parole, oltre che con minacce e con l'offerta di 5.000 euro, sarebbero stati invitati a ritrattare le accuse. Di questo episodio ha parlato lo stesso Mangione. "Sono venuti a casa mia a dirmi che dovevo ritirare la denuncia, al resto ci avrebbero pensato loro". 

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