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Venerdì, 22 Settembre 2023
Corte di appello

"Costretta da un falso pentito a mentire": l'ex compagna di Mangione ribadisce la ritrattazione

La donna sostiene di essere stata spinta con la forza ad accusare il boss Antonio Massimino e altre due persone di avere commesso degli abusi nei suoi confronti. "Mai minacciata per dire questo". Ma il procuratore generale replica e produce le denunce che dimostrano il contrario

"Non ho mai subito alcun abuso nei termini in cui l'ho descritto, l'episodio è stato molto meno grave. Sono stata costretta a denunciare il falso dal mio ex compagno che mi minacciava e picchiava, era pagato per mentire e aveva interesse ad accusare Antonio Massimino perchè era suo debitore per alcune partite di cocaina non pagate".

L'ex fidanzata di Antonino Mangione ribadisce la sua ritrattazione al processo di appello scaturito dall'operazione Kerkent che ha disarticolato il nuovo clan del capomafia dedito soprattutto al narcotraffico. I due avevano accusato tre imputati, fra cui il boss Massimino, di avere messo in atto una rappresaglia contro di loro, con tanto di sequestro di persona e abusi sessuali subiti dalla donna, per una truffa commessa ai danni di un commerciante d'auto da parte di Mangione. 

La donna, dopo averlo fatto nel troncone del processo di primo grado, ha ribadito pure in Corte di appello di avere detto il falso sostenendo che lo stesso Mangione fosse stato pagato da ambienti investigativi.

"E' vero - ha detto -, sono stata nel magazzino ma non ho subito violenza sessuale. Mi hanno solo toccata". Mangione avrebbe dovuto deporre in appello ma le sue condizioni di salute, certificate dai medici con una perizia, non glielo hanno consentito. 

Il procuratore generale, a margine di un acceso confronto dialettico col difensore di Massimino, l'avvocato Salvatore Pennica, ha chiesto alla donna se, al contrario, avesse mai ricevuto intimidazioni e pressioni per ritrattare. Alla risposta negativa il magistrato che rappresenta l'accusa, ha chiesto di produrre gli atti di un processo a carico di due uomini ritenuti vicini a Massimino (fra cui il cognato) rinviati a giudizio in seguito alle denunce della donna e dello stesso Mangione che hanno raccontato di essere stati raggiunti nella loro abitazione e ricevuto minacce, anche indirizzate ai propri figli, per cambiare versione. 

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