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Venerdì, 29 Marzo 2024
Mafia

La morte di Totò Riina, il rammarico di Pietro Grasso e Maria Falcone: "Porta con sé molti misteri"

Il "capo dei capi" per quasi 25 anni è rimasto in silenzio: non si è mai pentito. E' questo il più grande rammarico del presidente del Senato e della sorella del giudice Falcone. Antonio Ingroia: "Molti potenti possono tirare un sospiro di sollievo"

Totò Riina, il Capo dei capi morto poche ore fa in un lettino dell'ospedale di Parma, porta con sé nella tomba molti misteri. E' questo il rammarico più grande di Maria Falcone, la sorella del giudice Giovanni ucciso durante la strage di Capaci proprio per volere del boss mafioso lo ha confessato all'Ansa: "Resta il forte rimpianto che in vita non ci abbia svelato nulla della stagione delle stragi e dei tanti misteri che sono legati a lui". Inafferrabile per 24 anni, Totò u curtu è finito in carcere nel 1993. Da Allora sono passati quasi 25 anni di silenzi. Nonostante il 41 bis e la malattia, fino alla fine il boss non ha fatto un passo indietro scegliendo di non pentirsi. ""Non gioisco per la sua morte, ma non posso perdonarlo. Come mi insegna la mia religione avrei potuto concedergli il perdono se si fosse pentito, ma da lui nessun segno di redenzione è mai arrivato. Per lui - ha aggiunto Maria Falcone - questo sarà il momento più difficile perché dovrà presentarsi davanti al tribunale di Dio a rendere conto del sangue e delle lacrime che ha fatto versare a degli innocenti". 

Non ha mai collaborato con la giustizia

Il presidente del Senato, Pietro Grasso, condivide lo stesso rammarico la sorella del giudice. "In oltre 20 anni di detenzione - dice Grasso -non hai mai voluto collaborare con la giustizia. Porta con sé molti misteri che sarebbero stati fondamentali per trovare la verità su alleanze, trame di potere, complici interni ed esterni alla mafia, ma noi, tutti noi, non dobbiamo smettere di cercarla. La pietà di fronte alla morte di un uomo non ci fa dimenticare quanto ha commesso nella sua vita, il dolore causato e il sangue versato. Iniziò da Corleone negli anni 70 una guerra interna alla mafia per conquistarne il dominio assoluto, una sequela di omicidi che hanno insanguinato Palermo e la Sicilia per anni. Una volta diventato il Capo la sua furia si è abbattuta sui giornalisti, i vertici della magistratura e della politica siciliana, sulle forze dell’ordine, su inermi cittadini, sulle persone che con coraggio, senso dello Stato e determinazione hanno cercato di fermarne il potere. La strategia di attacco allo Stato ha avuto il suo culmine con le Stragi del 1992, ed è continuata persino dopo il suo arresto con gli attentati del 1993. Quando fu arrestato, lo Stato assestò un colpo decisivo alla sua organizzazione". 

Si apre la fase della successione

La scomparsa del capo di Cosa Nostra crea anche altre preoccupazioni: "Ora - commenta Antonio Ingroia - si apre la corsa alla successione per il Capo dei capi. Perché nonostante fosse al 41 bis, Riina è sempre rimasto il capo formale di Cosa nostra in tutti questi anni di detenzione. Con la sua morte si chiude una fase storica della mafia, la stagione dello stragismo politico-mafioso di cui Riina fu protagonista ed artefice, stagione cui fece seguito quella della trattativa Stato-mafia in cui Riina fu invece comprimario. Possono tirare un sospiro di sollievo i tanti potenti che in tutti questi anni hanno sempre temuto potessero venir fuori le verità indicibili su trattativa e stragismo del 1992-93: prima Provenzano e ora Riina sono morti senza parlare, portandosi nella tomba i terribili segreti di cui erano a conoscenza. La morte di Riina copre con una coltre di silenzio omertoso le malefatte di un'intera classe dirigente collusa con la mafia. Per non essere complice di quel silenzio il popolo può e deve ribellarsi contro quella classe politica impunita, responsabile di una delle stagioni più buie della nostra storia".
 

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