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Lunedì, 4 Dicembre 2023
Mafia

"Temevo di essere ucciso ma ho detto no al rientro in Cosa Nostra", Quaranta si racconta a Rebibbia

Udienza in trasferta a Roma per ascoltare il collaboratore di giustizia al processo "Montagna"

Cappellino blu in testa e grossi occhiali scuri per coprire gli occhi. L'ex boss Giuseppe Quaranta, da quasi due anni collaboratore di giustizia, debutta con una testimonianza dal vivo - la prima dopo un paio di apparizioni in video collegamento - al carcere romano di Rebibbia dove oggi e domani sarà acquisita la principale testimonianza del processo scaturito dall'operazione Montagna che ha sgominato il nuovo mandamento di Cosa Nostra che sarebbe stato affidato al trentanovenne Stefano Fragapane di cui lo stesso Quaranta sarebbe stato il braccio destro.

Nella capitale sono volati il presidente della prima sezione penale del tribunale di Agrigento, Alfonso Malato, con i giudici a latere Alessandro Quattrocchi e Giuseppa Zampino, il pm della Dda di Palermo Alessia Sinatra e gli avvocati del collegio difensivo Antonino Gaziano, Antonino Mormino, Daniela Posante, Giuseppe Barba, Carmelita Danile, Antonella Arcieri e Salvatore Maurizio Buggea.

La due giorni di Quaranta a Rebibbia

Quaranta, scortato da alcuni uomini del servizio centrale di protezione, è arrivato attorno alle 9,40 nell'aula A, gigantesca e semi deserta, del carcere Rebibbia. Decine di telecamere e cronisti sono accanto, nell'aula dove si sta celebrando il processo ai carabinieri accusati dell'omicidio preterintenzionale di Stefano Cucchi. Il pentito si siede e guarda in faccia tutti senza alcun paravento. La sua audizione, "spezzata" dalla pausa pranzo, è durata quasi sette ore.

"Sono stato posato nel 2014, mi hanno proposto di rientrare"

"Nel 2014 sono stato posato per una serie di incomprensioni - ha raccontato Quaranta - e ho deciso di farmi da parte. Mi è stato proposto di rientrare, nel frattempo ho avuto rapporti con Antonio Massimino e Cesare Lombardozzi". Il boss carismatico, morto nel maggio del 2017, secondo l'ex capomafia di Favara, gli avrebbe chiesto di rientrare.

"Capii che non era il caso", ha risposto il pentito

I timori di essere ucciso e la paura degli "amici"

"Quando sono stato fatto fuori, ho avuto paura. Con Cosa nostra o sei dentro o sei fuori. A uccidere sono sempre gli amici. Io avevo più paura quando ero fuori che dentro Cosa nostra. Quando sono stato posato avevo più paura, a tradirti sono quelli con cui hai mangiato e fatto le estorsioni. Mai terze persone, avevo paura di essere ucciso".

Botta e risposta con l'ex sindaco di San Biagio

L’inchiesta ha accertato anche presunti legami con la politica e in particolare con la vita amministrativa del piccolo centro di San Biagio Platani, il cui Comune è stato sciolto per infiltrazioni della criminalità organizzata in seguito all’indagine. Santo Sabella, che più volte è stato a capo della giunta del paese, è stato arrestato e poi rinviato a giudizio con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. In particolare gli si contesta di avere stretto un accordo con il capomafia del paese Giuseppe Nugara che prevedeva il più classico degli scambi di favore. Il boss gli avrebbe garantito sostegno elettorale per le amministrative del 2014, nelle quali fu eletto, e il candidato a sindaco avrebbe messo a disposizione appalti e posti di lavoro per le persone a lui vicine.

Quaranta ha raccontato di un accordo fra Sabella e Nugara "per fare eleggere la nipote di Nugara al consiglio comunale". 

Sabella ha chiesto di rilasciare dichiarazioni spontanee e ha replicato: "Quella donna non era la nipote di Nugara e, in ogni caso, il sistema del maggioritario prevede un meccanismo del tutto diverso da quello che ha descritto".

In questo stralcio del processo “Montagna”, oltre allo stesso Sabella, ci sono altri cinque imputati: Domenico Lombardo, 25 anni, di Favara, Salvatore Montalbano, 25 anni, di Favara, Calogero Principato, 26 anni, di Agrigento, Giuseppe Scavetto, 49 anni, di Casteltermini e Antonio Scorsone, 53 anni di Favara.

L'inchiesta ha accertato anche un vasto traffico di droga legato alle famiglie del quale avrebbe fatto parte anche il figlio di Giuseppe Quaranta, Calogero, condannato nello stralcio abbreviato insieme al padre.

Domani si torna in aula ma l'udienza, anche alla luce dell'acquisizione di alcuni verbali, sarà più celere e, in ogni caso, finirà entro la mattinata.  

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