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Mafia

Il travaglio interiore di Quaranta ai pm: "Ho rovinato la mia famiglia"

Il neo pentito confida ai magistrati: "Bisogna avere la forza di essere uomini"

“Ho un rimorso di coscienza perché penso di avere rovinato la mia famiglia. Uno deve riflettere ed essere uomo nella vita, l’impulsività porta alla distruzione”. Il verbale era già quasi chiuso ma il neo pentito Giuseppe Quaranta, col registratore ancora acceso, chiede ai pm Alessia Sinatra, Claudio Camilleri e Geri Ferrara di aggiungere questa sua considerazione dalla quale emerge tutto il suo travaglio interiore.

Quaranta, come si fa in questi casi con i nuovi pentiti, sta iniziando in maniera riassuntiva a riferire tutto quello che sa. Poi, avrà 180 giorni di tempo, a partire dall’inizio della sua collaborazione, per approfondire tutto. Intanto ha iniziato dall’operazione “Montagna”, la stessa che lo ha fatto finire in carcere con l’accusa di essere un esponente di spicco della mafia agrigentina. 

“Ho letto nell’ordinanza che mi volevano uccidere e penso che sono persone che tengono solo i soldi e poi pensavano che io potessi collaborare. Quando si è dentro Cosa Nostra – filosofeggia – c’è sempre qualcuno invidioso. Mi hanno detto che avevo preso dei soldi, non era vero. Queste cose le ho lette nell’ordinanza, ma io avevo solo un po’ di paura e mi sono messo a lavorare onestamente e basta”.

Quando si entra in rotta con Cosa Nostra è inevitabile avere dei timori. “Ho messo in guardia i miei figli e stavo attento a dove fossero ma non più di tanto – aggiunge – perché non mi immischiavo più in nessuna cosa. Se veniva qualcuno per cercare lavoro in qualche impresa lo mandavo via perché avevo deciso di tagliare anche subendo eventuali conseguenze. Il mio comportamento con loro era neutro. Evitavo di incontrarli e se li vedevo li salutavo e basta”. 
 

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