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Mafia, inchiesta "Nuova Cupola": ci sarà un terzo processo di appello per nove imputati

La Cassazione dispone un nuovo passaggio per valutare se sussiste l'aggravante del riciclaggio delle risorse economiche. Definitiva l'assoluzione dell'imprenditore Gaspare Carapezza

Cinque processi e due passaggi in Cassazione non sono sufficienti per mettere il sigillo sullo stralcio abbreviato dell'inchiesta "Nuova Cupola" che il 26 giugno del 2012 ha fatto scattare l'operazione con 55 provvedimenti di fermo nei confronti dei nuovi boss e affiliati mafiosi delle famiglie della provincia di Agrigento, alle prese con una maxi riorganizzazione storica dopo la cattura dei due boss Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina.

I giudici della Suprema Corte, nelle scorse ore, hanno disposto un annullamento con rinvio, disponendo il terzo processo di appello, per otto imputati. La Cassazione ha già messo dei paletti sancendo la condanna definitiva di tutti gli imputati, molti dei quali sono detenuti al 41 bis. Tuttavia il processo dovrà accertare alcune aggravanti con la possibilità, quindi, di aggravare la pena. 

Il nuovo giudizio - il sesto dopo due annullamenti della Cassazione - riguarderà innanzitutto il sambucese Leo Sutera. E' lui, secondo quanto ha accertato il processo, il successore di Falsone al vertice di Cosa Nostra agrigentina. La condanna a tre anni (in continuazione con la sentenza dell'operazione "Cupola") è definitiva ma il terzo giudizio di appello dovrà accertare se sussiste l'aggravante del riciclaggio delle risorse economiche in seno all'organizzazione. La pena nei confronti del boss sessantottenne, difeso dagli avvocati Nicola Grillo e Carlo Ferracane, di conseguenza, potrà anche essere aumentata o confermata ma non diminuita.

Situazione simile per altri otto imputati. Innanzitutto il palmese Francesco Ribisi, 35 anni, ritenuto il numero 2 di Cosa Nostra: la sua condanna a 15 anni e 4 mesi potrà essere rideterminata al ribasso, oppure confermata, dopo avere valutato se sussistono le aggravanti del riciclaggio e quella specifica, relativa a un episodio di rapina, commessa per finanziare l'associazione mafiosa. I giudici dovranno valutare se sussiste l'aggravante dell'avere commesso il fatto "in più persone riunite".

Il braccio destro di Ribisi (difeso dagli avvocati Daniela Posante e Valerio Vianello Accorretti), secondo quanto hanno accertato i processi, era Giovanni Tarallo, 33 anni, di Santa Elisabetta. La sua condanna a 15 anni sarà ridiscussa in Corte di appello per la terza volta per le stesse ragioni di Ribisi. Le indagini hanno accertato che Tarallo (difeso dagli avvocati Giuseppe Barba e Vincenzo Nico D'Ascola) organizzava dei summit mafiosi nel piazzale della casa di riposo del Villaggio Mosè gestita dalla madre.

Per altri sei imputati il nuovo processo di appello servirà a esaminare l'aggravante del riciclaggio e quindi, anche in questo caso, la condanna, già definitiva, potrebbe essere rideterminata. Si tratta di Luca Cosentino (10 anni e 8 mesi); Fabrizio Messina (6 anni); Pietro Capraro, classe 1985 (9 anni, 2 mesi e 20 giorni); Giuseppe Infantino (11 anni e 8 mesi), Natale Bianchi (9 anni, 10 mesi e 20 giorni) e Antonino Gagliano, classe 1972 (8 anni). 

Messina, difeso dagli avvocati Antonino Gaziano e Salvatore Pennica, è l'unico dei cinque che al momento è libero perchè ha già scontato quattro anni prima che la condanna gli venisse aumentata.

Diventa definitiva la condanna a cinque anni nei confronti di Dario Giardina.

L'unico assolto è l'imprenditore Gaspare Carapezza di 41 anni, accusato di estorsione e rimasto in carcere per 55 giorni fino a quando il tribunale del riesame non annullò l'ordinanza. L'empedoclino è stato scagionato dall'accusa di avere chiesto l'intermediazione del boss Fabrizio Messina e dei suoi “picciotti” Maurizio e Salvatore Romeo per ottenere la dilazione del pagamento di un credito. Lo stesso Messina, per questo episodio, è stato adesso definitivamente assolto dalla Cassazione.

"Si chiude un capitolo doloroso, - commenta l'avvocato Gianfranco Pilato che ha difeso Carapezza insieme al legale Ernesto D'Angelo - sei anni di battaglia e amarezze per il nostro assistito". Carapezza era stato condannato a 4 anni col rito abbreviato e la sentenza di assoluzione in appello è stata impugnata per due volte dalla Procura generale. 

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