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Giovedì, 18 Aprile 2024
Mafia Favara

L'ultimo pentito dell'Agrigentino, ecco chi è Giuseppe Quaranta

Il cinquantenne era il referente della famiglia mafiosa di Santa Elisabetta nel periodo immediatamente successivo all’arresto di Francesco Fragapane

La certezza sul fatto che avesse "saltato il fosso" è arrivata lo scorso 7 febbraio. Già nei giorni precedenti, però, l'indiscrezione circolava con insistenza. Giuseppe Quaranta, 50 anni, di Favara, ormai ex operatore ecologico, è l'ultimo - in ordine di tempo - pentito dell'Agrigentino. La decisione di collaborare con la giustizia è stata presa, da parte di Quaranta, dopo l'arresto del 23 gennaio scorso durante l'operazione "Montagna" della Dda di Palermo e dei carabinieri del reparto Operativo di Agrigento. Una scelta forse scontata visto che appena 6 giorni prima del blitz antimafia "Montagna" Quaranta - nell'ambito del processo "Kronio", scaturito dall'omonima inchiesta, - era stato condannato a 6 anni di reclusione per estorsione. E mentre era già in carcere gli venne notificata - nell'ambito dell'inchiesta "Proelio" - l'ordinanza della Cassazione che confermava la decisione del Riesame di applicargli i domiciliari, col braccialetto elettronico, per l'accusa di traffico di droga sull'asse Agrigento-Ragusa.

Due arresti e la condanna per estorsione: il "declino" di Quaranta 

Ma chi è Giuseppe Quaranta?

Il favarese è stato - sia secondo i magistrati della Dda, che per sua stessa ammissione, - il referente della famiglia mafiosa di Santa Elisabetta nel periodo immediatamente successivo all’arresto di Francesco Fragapane. Quaranta apparteneva alla famiglia mafiosa di Favara e, in tale veste, coordinava - ha scritto il Gip del tribunale di Palermo, Filippo Serio, - le attività illecite degli altri affiliati, mantenendo, direttamente o per interposta persona, attraverso il continuo scambio di comunicazioni con altri esponenti di vertice del sodalizio criminoso, un costante collegamento con gli altri capi dell’organizzazione mafiosa. Quaranta si occupava anche degli incontri e delle riunioni sia con le famiglie mafiose dello stesso mandamento che con quelli delle province di Palermo, Caltanissetta, Enna, Ragusa e Reggio Calabria. Incontri finalizzati - ha proseguito il giudice per le indagini preliminari - alla trattazione degli affari illeciti dell’organizzazione: gestiva la riscossione delle estorsioni, si occupava dei problemi dei componenti del sodalizio fra cui il sostentamento dei detenuti e dei loro familiari e promuoveva e organizzava personalmente atti intimidatori ad imprese ed esercizi commerciali. Il cinquantenne si adoperava, inoltre, anche per l’imposizione delle macchine da gioco agli esercizi pubblici. 

Quaranta si è pentito ed ha iniziato a collaborare con la Dda

Il travaglio interiore e la scelta di Quaranta

“Ho un rimorso di coscienza perché penso di avere rovinato la mia famiglia. Uno deve riflettere ed essere uomo nella vita, l’impulsività porta alla distruzione”. Lo ha dichiarato Giuseppe Quaranta, cercando di spiegare i motivi che lo hanno portato alla decisione di collaborare con la giustizia, davanti ai magistrati della Dda di Palermo Alessia Sinatra, Claudio Camilleri e Geri Ferrara. 

Quaranta: "Mi volevano uccidere ... temevano che potessi collaborare con la giustizia"

Giuseppe Quaranta leggendo l'ordinanza - che lo ha portato in carcere nell'ambito dell'inchiesta "Montagna" - ha appreso che lo volevano ammazzare: "Mi volevano uccidere e penso che sono persone che tengono in conto solo i soldi e poi pensavano che io potessi collaborare" - ha dichiarato davanti ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. 

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