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Testimone omicidio padre Puglisi mostra il suo volto: "Io, abbandonato dallo Stato"

A circa 18 anni di distanza, dice basta alla vita "segreta". Lo fa in segno di protesta contro lo Stato che fino ad ora lo ha protetto: "Da giorni costretto ad uscire senza scorta"

La sua testimonianza ha permesso di far arrestare gli esecutori materiali dell'omicidio di don Pino Puglisi, il parroco del quartiere di Brancaccio, a Palermo, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993. Dopo le sue informazioni, che hanno fatto luce su quel brutale assassinio, la sua vita è cambiata: è entrato a far parte di un programma di protezione dove gli è stato assegnato un nuovo nome e un nuovo lavoro, ma è stato anche trasferito in una nuova città dove nessuno conosce la sua vera identità. Tutto questo è accaduto appena due anni dopo l'omicidio di padre Puglisi.

Oggi, a circa 18 anni di distanza, dice basta alla vita "segreta" e decide di mostrare il suo volto. Lo fa in segno di protesta contro lo Stato che fino ad ora lo ha protetto, sapendo di perdere la copertura e di dover affrontare tutte le conseguenze che questa scelta comporterà. Giuseppe Carini, 45 anni, tornava a vestire i suoi veri panni soltanto quando partecipava alle manifestazioni antimafia, seppur con il volto coperto. Ma da qualche settimana gli è stata revocata la scorta: se vuole allontanarsi dalla località segreta dovrà farlo da solo, con la sua auto, senza alcuna protezione. "E' assurdo che in un paese come l'Italia l'ex latitante diventato poi collaboratore di giustizia viene protetto mentre noi testimoni veniamo abbandonati" ha detto.

Una decisione, quella del super teste, che arriva non a caso all'indomani della giornata della memoria per le vittime delle mafie. "Lo stesso Stato che ieri ha celebrato il ricordo delle vittime, oggi ha deciso di non disporre dispositivi di sicurezza per i testimoni di giustizia. Il ministero dell'Interno, mascherato di falsa democrazia, ha rifiutato alla tutela dei cittadini che combattono contro le mafie. Questo è inaccettabile - continua lo sfogo di Giuseppe Carini - . Forse aveva ragione Paolo Borsellino - dice ancora - quando denunciava la pericolosa somiglianza tra le istituzioni democratiche e le istituzioni alternative come le mafie".

Al suo fianco c'è Ignazio Cutrò, imprenditore di Bivona (Agrigento) nonché presidente dell'Associazione nazionale testimoni di giustizia, e Piera Aiello, testimone di giustizia di Partanna (Trapani), cognata di Rita Atria e confidente del giudice Paolo Borsellino. Anche lei da qualche giorno è costretta a muoversi senza scorta. "Abbiamo più volte sollecitato questi problemi al Viminale e alle più alte cariche dello Stato. Ma fino ad oggi ancora nessuno si è fatto sentire" ha detto Cutrò.

"Adesso intendo proseguire il percorso iniziato con padre Puglisi, - ha detto Giuseppe Carini - con la coerenza che mi ha sempre caratterizzato. Tocca alle istituzioni fare la loro parte. Vediamo fino a che punto si spingeranno nel lasciare inascoltati gli appelli d'aiuto dei testimoni". 

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