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L'arresto di "Diabolik" (Matteo Messina Denaro) e quel lungo elenco di latitanti agrigentini cancellato nel 2010

Il boss di Castelvetrano, per anni ed anni, è stato cercato anche nell'Agrigentino. Si diceva che si nascondesse nella Valle del Belice. Ma s'è detto - tante le dicerie raccolte - che fosse in un casolare a Canicattì. La sua ombra, dopo che sono stati bloccati Gerlandino Messina e Giuseppe Falsone, ha sempre aleggiato su questa provincia

Non è agrigentino. Ma è come se lo fosse, perché la sua ombra, gli interessi e le "mani" si sono sempre estese - stando a quanto venuto fuori da innumerevoli inchieste a suo carico - anche su questa provincia. Ed è proprio nell'Agrigentino che, per anni ed anni, è stato anche cercato. Si diceva che si nascondesse nella Valle del Belice. Ma s'è detto - tante le dicerie raccolte nel corso degli anni - che fosse in un casolare a Canicattì. "Diabolik", uno dei soprannomi del boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro, rappresenta quindi, anche per l'Agrigentino, l'ultimo dei latitanti presi. 

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I latitanti agrigentini arrestati

Nel 2000, i latitanti dell’Agrigentino erano dieci. Elenco più che dimezzato alla fine del 2005. Giuseppe Vetro di Favara, Giuseppe Montanti di Canicattì, Enzo Prestia, Luigi Putrone, entrambi di Porto Empedocle e Gaetano Amodeo di Cattolica Eraclea sono stati catturati fra Messico, Romania, Repubblica Ceca e Canada. Ignazio Gagliardo di Racalmuto, nel 2004, rientrando dal Sud Africa, si fece arrestare all’aeroporto di Catania e scelse di collaborare. Nel 2006 si consegnò anche Maurizio Di Gati, pure lui di Racalmuto, predecessore di Giuseppe Falsone, e nel 2007 Joseph Focoso di Realmonte venne preso in Germania. “Il 2010 segna la svolta epocale per l’Agrigentino – disse, all'epoca, l'allora procuratore della Dda di Palermo Francesco Messineo - . Adesso, questa terra è libera”. Non è stato, purtroppo, proprio così perché, appunto, l'ombra di Matteo Messina Denaro è sempre stata presente sull'Agrigentino. Certo non c'erano più nomi eccellenti di Cosa Nostra locale, ma c'era lui.

L'ultimo dei latitanti agrigentini arrestati  

A quattordici anni spense le luci del paese per facilitare la prima strage di Porto Empedocle. Vendicò il padre, ammazzato dalla Stidda due mesi e mezzo prima. A 38 anni, dopo averne trascorsi undici da latitante, era già il capomafia della provincia di Agrigento. Una reggenza durata poco, appena quattro mesi. E’ il 23 ottobre del 2010 quando Gerlandino Messina viene arrestato a Favara. E’ la fine dei latitanti agrigentini. 

gerlandino messina all'uscita della caserma dei cc

Gerlandino Messina, condannato all’ergastolo per associazione mafiosa e sei omicidi, è nascosto in un appartamento, al primo piano di una palazzina, di via Stati Uniti a Favara. Il Gis, gruppo di intervento speciale dei carabinieri di Livorno e i militari del reparto operativo di Agrigento, raccolta l’informazione dei servizi segreti, fa irruzione. Vengono scardinati gli infissi e il portone di ingresso. Per stordirlo, scongiurando una possibile reazione, i militari utilizzano le bombe accecanti. Cercavano un uomo esile, dal naso pronunciato incastonato in un volto spigoloso. Trovano una persona grassa, calva, dalla barba incolta. Un boss che al posto del capezzale ha il fazzoletto dei portatori di San Calò, il secondo santo patrono di Agrigento, sul comodino la biografia di Totò Riina, in tasca quattro pizzini, uno dei quali indirizzato al “mammasantissima” della Sicilia Matteo Messina Denaro, e che trascorre il tempo giocando con Xbox a “Il padrino”. 

gerlandino messina prima e all'arresto

Messina, al momento della cattura, aveva due pistole alla cintola: una delle quali con un colpo in canna. Non ha però avuto il tempo per estrarle. Il boss è rimasto – secondo il racconto fatto allora dai carabinieri – impassibile, con lo sguardo fisso sul pavimento. Soltanto quando uno degli investigatori gli grida contro: “Sei l’assassino del maresciallo Giuliano Guazzelli”, Messina guarda in faccia quel militare. Poi torna a fissare il vuoto. Dalla palazzina, il capomafia esce incappucciato e scortato da una trentina di carabinieri. La folla di curiosi che s’era riunita, nel frattempo, davanti allo stabile rimane in silenzio, quasi pietrificata. Contrariamente a quanto avvenuto a Palermo per la cattura di mafiosi d’alto calibro, a Favara non ci sono stati applausi, né ringraziamenti per i carabinieri. In caserma, ad Agrigento, Gerlandino Messina resta in silenzio per più di sette ore. Nonostante le domande dei carabinieri sulla sua identità lo incalzino, lui, arrivato al vertice di Cosa Nostra anche per la sua nobiltà mafiosa, risponde chiedendo, di tanto in tanto, una sigaretta e un po’ d’acqua.

gerlandino messina dopo l'arresto in caserma

A mezzanotte e venti, quell’uomo apparentemente dimesso parla: “Sì, sono io quello che cercate. Tutto ha un inizio e una fine”.

L'arresto del boss Giuseppe Falsone 

Lo scettro di capo a Gerlandino Messina era passato automaticamente all’indomani del 25 giugno. A Marsiglia, quel giorno, la polizia, nonostante i documenti falsi e gli interventi di chirurgia plastica al viso, ha arrestato il rappresentante regionale, per la provincia di Agrigento, dell’organizzazione criminale: Giuseppe Falsone, 40 anni, il "ragioniere", di Campobello di Licata, fermato dopo 11 anni di latitanza.

Falsone, indicato con il numero "28" nei pizzini di Bernardo Provenzano, venne preso con i sacchetti della spesa in mano mentre rientrava a casa a Marsiglia. Dcumenti falsi e con il naso certamente rifatto, Falsone ha negato ai poliziotti che lo hanno fermato di essere il ricercato dal ’99 per mafia, omicidio, estorsioni, traffico di droga, gestione illecita di appalti. Per la conferma definitiva, i poliziotti lo hanno sottoposto ai rilievi dattiloscopici. Dopo aver ripetuto per ore che la polizia si stava sbagliando, che lui non aveva nemmeno la minima idea di chi fosse Giuseppe Falsone, quando è arrivato l'esito dei rilievi dattiloscopici, Falsone è rimasto in silenzio. 

La sua "carriera" in Cosa Nostra non poteva che svilupparsi considerato che era il figlio di Vincenzo, reggente ad Agrigento per molti anni, che fu ucciso durante la guerra di mafia con li "Stiddrari" agrigentini il 24 giugno del '91. Il "ragioniere" vendicò il delitto uccidendo Salvatore Ingaglio, che lui considerava uno degli assassini del padre o comunque uno dei componenti della Stiddra che ordinò il delitto.  

Giuseppe Falsone in caserma a Marsiglia-2

"Lo seguivamo - disse l'allora questore di Agrigento Girolamo Di Fazio - da almeno un paio di mesi e non lo perdevamo mai di vista. Viveva da solo in quella casa di Marsiglia e stava per mettere sù un’impresa di costruzioni edili". Arrivata la notizia dell'arresto, tantissimi agrigentini si riversarono davanti la Questura e fu festa allora. Una grande festa. "Falsone gira rigorosamente armato, non si separa mai da palmare e pc portatile. E nella ventiquattrore porta la bibbia e testi di filosofia" - aveva raccontato l'ex consigliere comunale di Naro, Giuseppe Sardino, che era stato braccio destro e vivandiere di Falsone, prima di pentirsi.

Il primo settembre del 2010, l'ex capo mafia di Agrigento, estradato in Italia a metà agosto, venne trasferito dal carcere Opera di Milano alla casa circondariale, di massima sicurezza, di Novara. 

giuseppe falsone arrestato

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