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Mafia, la maxi inchiesta "Kerkent": confermati otto arresti

Il tribunale del riesame rigetta i ricorsi della difesa, torna in libertà il trentunenne Attilio Sciabica

Otto ordinanze di custodia cautelare confermate: la maxi inchiesta “Kerkent”, che ipotizza una riorganizzazione della famiglia mafiosa di Agrigento sotto la guida dell’esperto capomafia Antonio Massimino, 50 anni, tornato libero nel 2015 dopo avere scontato la seconda condanna per associazione mafiosa rimediata nell’ambito dell’operazione “San Calogero”, regge al vaglio del riesame.

La maxi inchiesta sul clan Massimino approda al riesame

Il tribunale della libertà, nella giornata di ieri, ha depositato numerose ordinanze che confermano il provvedimento restrittivo firmato dal gip Walter Turturici ed eseguito dagli uomini della Dia lo scorso 4 marzo. Fra gli arresti confermati c’è quello di Gerlando Massimino, 31 anni, figlio di Antonio, al quale si contesta di essere stato uno dei “promotori ed organizzatori” dell’organizzazione criminale dedita al traffico di droga, veicolando gli ordini di suo padre Antonio agli altri associati e contribuendo in prima persona all’acquisto dello stupefacente dai fornitori ed alla cessione agli intermediari ed in alcuni casi - scrive il gip - ai consumatori finali”.

IL VIDEO. Arrestati due fiancheggiatori del boss

Il reato, come per gli altri presunti indagati accusati di avere avuto un ruolo nel narcotraffico, è aggravato da mafia. Confermati pure altri sette provvedimenti cautelari. I giudici del riesame hanno rigettato il ricorso di Angelo Iacono Quarantino, 28 anni, di Porto Empedocle; Gabriele Miccichè, 29 anni, di Agrigento; Giuseppe Messina, 31 anni, di Agrigento; Francesco Vetrano, 34 anni, di Agrigento; Alessio Di Nolfo, 33 anni, di Agrigento; James Burgio, 26 anni, di Porto Empedocle e S. G., 45 anni, di Agrigento. 

Scatta l'operazione "Kerkent", trentadue arresti

Miccichè e S. G., insieme ad Antonio Massimino e un quarto indagato il cui arresto è stato rigettato, il favarese Giuseppe Sicilia, 40 anni, sono indagati per una vicenda solo marginalmente collegata al clan di Massimino. Tutti sono accusati di sequestro di persona a scopo di estorsione. Massimino e Miccichè di violenza sessuale aggravata. La vicenda ruota attorno a una truffa che un trentottenne di Raffadali, già coinvolto in altre vicende di mafia, avrebbe commesso ai danni di S. G., titolare di un negozio di auto. Il commerciante avrebbe venduto una vettura al raffadalese che gliela pagò con un assegno falso. Quando lo scoprì – sostiene l’accusa – si sarebbe rivolto a Massimino per recuperare la vettura. Il boss, servendosi di Miccichè, inizialmente semplice acquirente della droga e poi, sostiene la Dda, uno dei suoi principali collaboratori, organizzò il sequestro del trentottenne e della moglie. Quest’ultima, portata in un magazzino e minacciata con una pistola, sarebbe stata insultata e costretta a subire palpeggiamenti e strofinamenti da parte di Massimino che si sarebbe denudato. 

Iacono Quarantino, Messina, Di Nolfo e Burgio, invece, sono accusati di fare parte dell’organizzazione dedita al traffico di droga di cui Antonio Massimino sarebbe stato il principale punto di riferimento. Stessa accusa per Attilio Sciabica, 31 anni, che, invece, è tornato in libertà. I giudici del riesame, ai quali si sono rivolti i difensori, gli avvocati Olindo Di Francesco e Vincenzo Salvago, hanno annullato l'ordinanza di arresto. 

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