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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Mafia, blitz "Montagna": nove indagati davanti al gip

Solo un'imprenditrice, accusata di avere fatto da prestanome per il marito mafioso, ha risposto alle domande

Una sola indagata decide di rispondere al gip e tentare di chiarire la propria posizione. Gli altri otto, invece, si avvalgono della facoltà di non rispondere. La maxi operazione antimafia “Montagna”, che il 22 gennaio ha fatto scattare 57 arresti, fra carcere e domiciliari, disarticolando le famiglie mafiose di un ampio versante della provincia di Agrigento, approderà adesso al tribunale del riesame.

Ieri si sono conclusi gli interrogatori di garanzia, davanti al gip di Palermo, Filippo Serio, che ha emesso il provvedimento, su richiesta dei pm della Dda Geri Ferrara, Claudio Camilleri e Alessia Sinatra, per gli indagati raggiunti da una misura cautelare minore. Addirittura, assistito dal suo difensore, l’avvocato Giuseppe Barba, è comparso anche il favarese Giuseppe Lombardo, 33 anni, accusato di associazione a delinquere e spaccio di droga, con l’aggravante del favoreggiamento, ma rimasto libero perché il giudice non ha applicato alcuna misura.

La cancelleria lo ha convocato per errore e ne ha preso atto. Il fratello Domenico, 25 anni, invece, è finito ai domiciliari per le stesse accuse e si è avvalso della facoltà di non rispondere. Anche Marco Veldhuis, 19 anni, di Favara, anch’egli assistito dall’avvocato Giuseppe Barba come i due fratelli Lombardo, ha preferito fare scena muta. Anche lui è finito ai domiciliari nell’ambito del filone investigativo relativo allo spaccio. Scelta diversa, invece, per l’imprenditrice Nazarena Traina, 47 anni, di Cammarata, accusata di intestazione fittizia di beni con l’aggravante dell’avere agevolato l’associazione mafiosa. La donna, che ha nominato come difensori gli avvocati Giovanni Castronovo e Riccardo Pinella, è accusata di essersi fatta intestare un’attività che operava nel settore del noleggio di giochi elettronici, per nascondere l’effettiva titolarità da parte di alcuni esponenti mafiosi di Cammarata, fra cui il marito Vincenzo Mangiapane.

La donna ha spiegato di essere stata la titolare effettiva, motivando la scelta dell’intestazione della licenza con ragioni di opportunità fiscale. Davanti al gip, sempre ieri mattina, sono comparsi altri quattro indagati. Si tratta di Stefano Di Maria, 25 anni; Salvatore Montalbano, 25 anni; Calogero Principato, 26 anni e Antonio Scorsone, 42 anni, tutti di Favara. La strategia difensiva dei loro legali (gli avvocati Salvatore Virgone, Cettina Tinaglia e Salvatore Maurizio Buggea) è stata quella del silenzio. Di Maria, Principato e Montalbano sono finiti agli arresti domiciliari; a Scorsone è stato applicato l’obbligo di firma. Scorsone è accusato di intestazione fittizia di beni, agli altri si contesta di avere fatto parte dell’associazione che, al servizio di Cosa Nostra, trafficava droga.

Scelta del silenzio anche per il favarese Vincenzo Licata, 27 anni, difeso dagli avvocati Angelo Nicotra e Gerlando Vella che, nei giorni scorsi, è rientrato dal Belgio per consegnarsi ai carabinieri. 

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