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Cronaca Licata

"Stavamo collocando le microspie e ci ha sparato addosso", racconto choc di tre tecnici in incognito

I giudici della seconda sezione penale danno l'ok all'audizione a porte chiuse, con il passamontagna e il separè per non essere riconoscibili. "L'arma si è inceppata, i poliziotti che ci scortavano lo hanno messo in fuga"

"Ha iniziato a spararci addosso, ha puntato ad altezza d'uomo. Si è sentito chiaramente il rumore dell'arma che si è inceppata, forse siamo vivi per questo. Gli ho tirato addosso una scala per cercare di difendermi, i poliziotti hanno sparato dei colpi in aria per farlo desistere e, alla fine, è fuggito".

Drammatico racconto, questa mattina, in aula, dei tre tecnici scampati all'agguato mentre, nel cuore della notte, scortati dalla squadra mobile, installavano delle microspie in incognito in via Gela, a Licata, nell'ambito di un'indagine per usura. La loro testimonianza si è tenuta a porte chiuse e con grande riservatezza. I giudici della seconda sezione penale, presieduta da Wilma Angela Mazzara, per tutelare la sicurezza dei tre ausiliari di polizia giudiziaria ed evitare che possano essere riconosciuti visto che lavorano in incognito, hanno emesso un'ordinanza con cui invitavano il pubblico ad uscire.

Gli stessi operatori (di cui si omettono le generalità a tutela della loro sicurezza e della segretezza delle operazioni) sono entrati da un percorso del retro con il volto coperto da un passamontagna ed è stato posizionato un separè per non essere visibili all'imputato, il ventritreenne Paolo Greco che - all'udienza precedente - ha negato di essere stato lui a sparare. Greco, che ha nominato come difensore l'avvocato Francesco Lumia, è stato arrestato con l'accusa di tentato omicidio l'8 marzo dell'anno scorso, alcune ore dopo, dalla polizia che riconobbe il modello di scarpe molto particolare con una striscia catarifrangente e lo fermò per strada, ad alcune centinaia di metri.

L'agguato è scattato mentre i tecnici collocavano delle microspie nell'ambito di un'indagine che, in seguito, ha portato al rinvio a giudizio, per le accuse di usura ed estorsione con metodo mafioso, dello stesso Paolo Greco e del padre Antonino. 

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