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Cronaca Licata

Le mani della mafia sulle demolizioni, carabiniere in aula: "L'impresa appaltatrice chiese il permesso di usare un suo mezzo"

Un'intercettazione ha rivelato che il titolare della ditta che stava demolendo gli immobili dovette chiedere l'autorizzazione ai componenti della cosca che avrebbero pure deciso chi doveva gestire lo smaltimento dei rifiuti

Il titolare dell'impresa che stava eseguendo le demolizioni degli immobili abusivi chiese all'emissario del boss il permesso di usare un suo mezzo come se l'appalto non fosse suo. Non solo: la famiglia mafiosa di Licata che - sostiene l'accusa - aveva messo le mani sull'esecuzione del contratto che avrebbe, invece, dovuto riportare la legalità, decise pure a chi doveva andare la gestione della discarica.

Lo ha rivelato in aula, al processo scaturito dalla doppia operazione "Halycon-Assedio", il luogotenente dei carabinieri Antonino Iacono, in servizio al Ros, che ha preso parte ad un ampio segmento delle indagini sulla nuova famiglia mafiosa di Licata e gli intrecci con la politica e la massoneria deviata. 

Il sottufficiale, citato dal pubblico ministero della Dda Claudio Camilleri, ha riferito in merito alla posizione dell'imprenditore di Comiso, Salvatore Patriarca, 43 anni, accusato di favoreggiamento aggravato

“Non ho mai ricevuto richieste estorsive o minacce da parte di persone ben precise, ho solo ricevuto minacce dalla folla generiche”. Così Patriarca, che nel 2015 a Licata aveva in appalto le demolizioni degli immobili abusivi, per questa frase, messa a verbale con i carabinieri il 31 luglio del 2019, alcuni giorni dopo l’operazione antimafia “Assedio”, è finito a processo.

Patriarca aveva aggiunto pure di non sapere chi fosse Giovanni Mugnos, presunto affiliato arrestato nell’operazione, e di non avere avuto contatti con nessun esponente mafioso. 

Un quadro del tutto diverso con quello descritto nelle intercettazioni e raccontato in aula da uno degli investigatori. "Ci sono andato a parlare, tutto a posto". Il mafioso di Caltagirone, Cosimo Ferlito, rassicurò con queste parole gli altri affiliati della famiglia di Licata sul fatto che Cosa nostra aveva messo le mani sull'appalto per le demolizioni degli immobili abusivi. 

Lavori che avrebbero portato "parecchi soldi". Ferlito ottiene pure la rassicurazione di un altro presunto affiliato, Vito Lauria, sul fatto che - qualora fosse servito - era pronto ad attivarsi col Comune sostenendo di avere delle entrature. "Non c'è bisogno - fu la replica -, Patriarca si è messo a disposizione".

"I contatti fra l'imprenditore e la famiglia mafiosa - ha aggiunto il sottufficiale - sono stati tenuti da Mugnos e un tale Calogero Malfitano, vicino a Giovanni Lauria. Il clan aveva pure deciso chi doveva gestire la discarica dove conferire i materiali delle demolizioni. Nella circostanza fu riattivata, dopo 10 anni, un'impresa vicina a Lauria".

Il dibattimento, in corso davanti ai giudici della prima sezione penale presieduta da Alfonso Malato, prosegue il 14 aprile con la nuova audizione del colonnello del Ros, Lucio Arcidiacono. In questo stralcio sono imputati in otto.

Si tratta di Angelo Bellavia, 66 anni; Antonino Cusumano, 45 anni; Giovanni Lauria, 80 anni; Antonino Massaro, 62 anni; Salvatore Patriarca, 43 anni; Alberto Riccobene, 54 anni; Gabriele Spiteri, 48 anni e Vincenzo Spiteri, 54 anni. Le accuse contestate sono di associazione mafiosa e favoreggiamento aggravato. 

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