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Cronaca Licata

"Disabili psichici isolati e maltrattati", citati in giudizio Comuni e Asp

Le presunte vittime ottengono l'ingresso nel processo degli enti pubblici che saranno chiamati a risarcire in caso di condanna degli imputati

Le presunte vittime chiedono di citare in giudizio i loro Comuni di residenza e la Regione Sicilia in qualità di "responsabili civili": in sostanza avendo disposto, in ragione delle proprie competenze in materia di assistenza sociale, il ricovero nella comunità, in caso di condanna degli imputati potrebbero essere chiamati al risarcimento. 

Il processo scaturito dalla maxi inchiesta "Catene spezzate", che nel 2015 fece scattare alcune misure cautelari, è iniziato dopo i rinvii a giudizio decisi dal gup. I disabili psichici, sostiene l'accusa, venivano tenuti in stanze sporche: isolati dal resto del mondo, senza alcuna possibilità di contattare i familiari e costretti al digiuno.

Uno di loro sarebbe stato persino legato al letto con una catena per evitare che potesse allontanarsi. Fra gli imputati anche l'imprenditore ed ex presidente del consiglio comunale di Favara, Salvatore Lupo, ucciso a 45 anni il giorno di Ferragosto in un bar da un killer che gli ha esploso addosso tre colpi di pistola prima di fuggire.

Lupo, infatti, era l'amministratore unico della Suami, la coop che gestiva le strutture. Il suo difensore, l'avvocato Domenico Russello, ha prodotto il certificato di morte che ha chiuso il processo, nei suoi confronti, prima di iniziare.

La struttura di accoglienza di Licata, negli anni successivi, finì al centro di un'altra inchiesta su un giro di estorsioni ai danni di dipendenti. Il pubblico ministero Chiara Bisso ha chiesto, ottenendolo, il rinvio a giudizio di otto, fra responsabili e operatori di quella che fu ribattezzata come la "comunità degli orrori" di Licata.

Sul banco degli imputati, oltre allo stesso Lupo: Caterina Federico, 37 anni; Angelo Federico, 33 anni; Domenico Savio Federico, 29 anni; Giovanni Cammilleri, 30 anni; Salvatore Gibaldi, 43 anni; Maria Cappello, 50 anni e Angela Ferranti, 53 anni, tutti di Licata. Le accuse contestate sono di maltrattamenti e sequestro di persona. L'inchiesta è stata chiamata "Catene spezzate" perchè una telecamera posizionata in incognito dai carabinieri all'interno della struttura avrebbe provato la circostanza che uno degli ospiti veniva legato a un letto con una catena.

Questi filmati sono stati oggetto di una perizia, disposta all'udienza preliminare su incarico della difesa secondo cui non ci sarebbe stata alcuna volontà di sequestrare il disabile ma solo di contenerlo per evitare che potesse commettere gesti di autolesionismo. 

La difesa delle presunte vittime ha ottenuto di citare in giudizio i Comuni e la Regione che saranno chiamati a risarcire i danni in caso di condanna avendone avuto, in astratto, la responsabilità di indirizzarli nella struttura dove avrebbero subito dei maltrattamenti.

Il giudice monocratico Giuseppe Miceli, davanti al quale si celebrerà il dibattimento, ha rinviato il processo all'8 febbraio per consentire la citazione degli enti pubblici. A seguire saranno sentiti i primi testi della Procura. 

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