Disabili a digiuno o incatenati, sotto accusa operatori della comunità: in aula il perito
Continua l'udienza preliminare, la difesa ha ottenuto l'analisi di un video ritenuto dalla Procura la prova della segregazione
L'esame e la descrizione di un video che, secondo la Procura, sarebbe la prova della segregazione e, invece, per la difesa confermerebbe che si è trattato di una "tecnica inevitabile di contenimento per evitare gesti autolesionistici".
L'udienza preliminare scaturita dalla maxi inchiesta "Catene spezzate", che nel 2015 fece scattare alcune misure cautelari, è entrata nel vivo e il 15 aprile proseguirà con le scelte dei riti da parte della difesa. Il gup Francesco Provenzano, su richiesta di uno dei difensori, l'avvocato Salvatore Manganello (nel collegio, fra gli altri, pure i colleghi Linda Sabia, Santo Lucia, Antonio Montana, Gaetano Timineri e Domenico Russello), aveva deciso di disporre una perizia sui video, girati con una telecamera nascosta dai carabinieri, in cui si immortalerebbe uno dei tredici disabili maltrattati legato ad un letto con una catena.
È stato proprio questo episodio, dal quale ne è scaturita un'ipotesi di reato di sequestro di persona, a suggire il nome all'inchiesta.
Il perito Giuseppe Rinzivillo ha esaminato il file, estraendo i fotogrammi e li ha descritti insieme alle intercettazioni. Il pubblico ministero Chiara Bisso ha chiesto il rinvio a giudizio di otto, fra responsabili e operatori di quella che fu ribattezzata come la "comunità degli orrori", ovvero la Suami onlus. Si tratta di Salvatore Lupo, 45 anni, di Favara; Caterina Federico, 37 anni; Angelo Federico, 33 anni; Domenico Savio Federico, 29 anni; Giovanni Cammilleri, 30 anni; Salvatore Gibaldi, 43 anni; Maria Cappello, 50 anni e Angela Ferranti, 53 anni, tutti di Licata. Le accuse contestate sono di maltrattamenti e sequestro di persona.