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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca Lampedusa e Linosa

Naufragio di Lampedusa, lo psicologo: "Riconoscimenti delle vittime solo grazie ai vestiti"

Medici senza frontiere: "Queste persone hanno bisogno di essere trasferite, di allontanarsi da Lampedusa. Ci hanno detto chiaramente che non vogliono stare più qui. Sentono addosso la tragedia che li ha travolti"

“La fase del riconoscimento dei corpi, durata circa 3 ore, è stato un momento di dolore e angoscia. Tutti erano tesissimi e alcuni tremavano al terrore di rivedere i corpi dei compagni di viaggio. Ho sentito le loro vibrazioni gli attimi prima in cui avrebbero visto le foto che ritraevano ciò che resta dei loro familiari o amici. I corpi dei naufraghi sono straziati. Una ragazza ci ha chiesto perché alcuni fossero diventati bianchi. L’acqua marina ha corroso i corpi fino a trasformare il colore della pelle. Il mare li ha trasformati a tal punto da stravolgere le fattezze dei volti. E così il riconoscimento è avvenuto tramite un capo di abbigliamento o un segno particolare". Dario Terenzi, psicologo di Medici senza frontiere, ha assistito i sopravvissuti del naufragio di Lampedusa durante le drammatiche fasi del riconoscimento dei cadaveri recuperati.  

Da sabato a martedì un team di Medici senza frontiere, formato da un psicologo e un mediatore interculturale, ha fornito supporto psicologico a 13 superstiti: 6 donne della Costa d’Avorio e 7 uomini della Tunisia. 

"Una ragazza ivoriana ha riconosciuto il compagno perso in mare dalla felpa che indossava quel giorno. Era terrorizzata, ma ha voluto rivedere il suo compagno. È crollata un attimo dopo sciogliendosi e scomparendo dentro un lungo pianto di straziante dolore e disperazione - prosegue la testimonianza di Terenzi - . L’abbiamo assistita e poi accompagnata nella sua camera dove lentamente, anche grazie all’aiuto insostituibile delle sue compagne di viaggio, si è ripresa. Prima di andar via ci ha timidamente salutati e, abbozzando un sorriso, ha pregato affinché Dio ci benedicesse. Tutti i nostri pazienti hanno raggiunto un livello appena sufficiente di tranquillità, non certo di serenità. Quando li abbiamo incontrati il primo giorno avevano lo sguardo fisso, erano rigidi, alcuni non parlavano affatto. Ancora oggi molti di loro hanno incubi, difficoltà ad addormentarsi, paura a rimanere soli, c’è chi non dorme da giorni, non hanno fame, e hanno raccontato di essere sopraffatti da immagini e pensieri intrusivi, rivedono e rivivono in continuazione le immagini del naufragio. Prevale ed è palpabile un forte senso di disagio, estrema sofferenza e frustrazione. Infatti, molti continuano a domandarsi perché siano ancora vivi, perché loro ce l’hanno fatta. Abbiamo accolto e abbracciato questi sentimenti, li abbiamo condivisi e in qualche modo abbiamo cercato insieme a loro di renderli più tollerabili e almeno in parte comprensibili al loro pensiero e al loro cuore. Posso provare a immaginare che sbiadire il ricordo e sciogliere l’angoscia richieda un arco di tempo molto più lungo di questi giorni e ancora tanta fatica".

"Queste persone hanno bisogno di essere trasferite, di allontanarsi da Lampedusa - viene lanciato un appello - . Ci hanno detto chiaramente che non vogliono stare più qui. Sentono addosso la tragedia che li ha travolti. Continuano a domandarsi perché vengono tenuti ancora qui dove sono morti i loro cari": Medici senza frontiere ha chiesto alle autorità che le due comunità, le 6 donne ivoriane e i 7 uomini tunisini, non vengano divise e che i due gruppi vengano lasciati uniti e trasferiti negli stessi centri di accoglienza. Non separarli è un piccolo, ma utilissimo, fattore di protezione che abbiamo visto in passato aiutare significativamente i superstiti. Il naufragio è qualcosa che ti lega a vita. La Prefettura ha accolto la nostra richiesta e non è escluso che continueremo a seguire queste persone nell’immediato futuro".

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