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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Le testimonianze / Lampedusa e Linosa

Vide morire tutti i suoi amici e fu l'unico a salvarsi il 3 ottobre del 2013, Solom: "Non partite coi barconi, provate ad arrivare legalmente"

Il sopravvissuto eritreo adesso ha 32 anni: "Ogni anno, torno sempre a Lampedusa e vado anche al cimitero di Agrigento a portare dei fiori ai miei amici"

"Ogni anno, torno sempre a Lampedusa e vado anche al cimitero di Agrigento a portare dei fiori ai miei amici. Ero partito con loro, avevano tutti 22 e 23 anni. Sono l'unico che si è salvato, loro sono morti tutti". A raccontare la sua storia agli studenti anche Solom, eritreo, di 32 anni, sopravvissuto del naufragio del 3 ottobre, che, da qualche anno, vive in Svezia.

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Solom, in Svezia, fa l'autista di camion, si è sposato con una connazionale e ha un bambino di un anno e due mesi. "Devo la mia vita a Vito Fiorino, 'my father', è lui che mi ha salvato - spiega - . Sono scappato dal mio Paese, l'Eritrea, e, con i miei amici, abbiamo attraversato l'Etiopia, il Sudan, il deserto del Sahara e siamo arrivati in Libia. Siamo stati rapiti e mi hanno chiesto 5 mila dollari per essere liberato. Grazie a Dio, mio fratello ha pagato il riscatto e sono partito dalla Libia. In Svezia, all'inizio, è stato difficile, ma poi ho capito il sistema e se ti impegni e trovi un lavoro, la vita è molto bella". Solom chiede a tutti gli africani in fuga dal paese di origine di non prendere i barconi e di provare ad arrivare in maniera legale: "Vivere in patria è difficile, si può morire. Ma si può morire anche sui barconi. Dopo quello che ho vissuto chiedo a tutti di non dare soldi per il viaggio con i barconi, andate in Sudan o in Etiopia e attendete che la situazione migliori". A Lampedusa c'è anche Fanus, aveva 16 anni il 3 ottobre del 2013 ed è stata l'unica a riconoscere lo scafista e a denunciare. E' rimasta 3 mesi, allora, all'interno dell'hotspot e ancora adesso si chiede come ha fatto a sopravvivere visto che non sa nuotare. Adesso vive in Svezia ed ha 3 figli. E poi c'è Adal: è stato il primo, il 3 ottobre del 2013, ad arrivare, da naufrago, a Lampedusa e a ricostruire tutti i nomi delle vittime. Ha perso suo fratello nella tragedia che determinò 368 vittime. Ma anche Abel che è ancora minorenne ed è timidissimo. Nel naufragio ha perso il padre e non riesce, ancora oggi, a superare il trauma. 

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Gli studenti hanno ascoltato anche le testimonianze dei lampedusani che, in quella notte d'inferno, si mobilitarono. "Ho ancora davanti agli occhi quello scenario terrificante, almeno 200 persone che mi guardavano, urlavano e volevano essere aiutate - ha raccontato Vito Fiorino - . Ho pensato 4 o 5 li devo salvare. Ho iniziato a portare a bordo questi ragazzi, arrivavano nudi, erano sporchi di petrolio e mi scivolavano dalle mani. Mi dissero che erano circa 500 su quella barca e che verso mezzanotte, una grossa imbarcazione si era avvicinata, li aveva illuminati e se ne era andata. Per indifferenza quella notte, 368 persone, sono morte. Fra i giovani che ho soccorso con la 'Gamar' (il nome della barca di Vito Fiorino) ce n'era uno completamente nudo che appena è stato issato a bordo mi ha chiesto dei pantaloni. Quel ragazzo era Solom che, quella notte, mi ha insegnato la mia prima parola di inglese: 'My father'". A parlare anche Costantino Baratta, il pescatore che salvò 13 ragazzi: "Il mare, davanti la barca, era pieno di cesti di capelli e di occhi fuori dalle orbite. Tutti urlavano: 'Help me', 'help me'. Casa mia, nei mesi successivi, si è trasformata in un internet-point perché tutti i ragazzi soccorsi  facevano avanti e indietro per usare il pc e provare a rintracciare i propri familiari. Uno dei 'miei' ragazzi solo dopo 2 anni è riuscito a mettersi in contatto con il fratello in Inghilterra. Adesso, con tutti loro, siamo sempre in contatto. Siamo una famiglia allargata, una famiglia internazionale". 

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