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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

La passione del venerdì santo ad Agrigento, Don Franco: "Non sentiamoci appagati"

In centinaia si sono riversati nel salotto della città. A mezzanotte in punto, l'arcivescovo Francesco Montenegro ha abbracciato i suoi fedeli con il consueto discorso

Consueta folla di gente per la processione del venerdì Santo. Agrigento si è raccolta in preghiera nel salotto della città. In centinaia hanno affollato le vie del centro. Alla mezzanotte in punto, l'arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, si è  affacciato dalla chiesa San Domenico, per abbracciare i suoi fedeli. Don Franco ha parlato agli agrigentini, trattando  ancora una volta il tema dell'immigrazione, ma anche dell'indifferenza e dell'arroganza.

"Signore Gesù - ha detto don Franco - ancora una volta Ti abbiamo accompagnato lungo le vie della nostra Agrigento; ma Tu, ancora una volta, ci ricordi che non basta portarti per le nostre vie. Tu passi tra noi per interrogarci e, pure in questo venerdì santo, ci chiedi di non sentirci appagati solo perché abbiamo ripetuto una tradizione, anche se sentita e partecipata, ma di saper andare oltre, di non fermarci in superficie, ma a scendere sotto, negli ipogei della nostra società più che in quelli della nostra città. Ci chiedi di avere il coraggio di vedere ciò che invece tentiamo di nascondere o - spiega l'arcivescovo ai suoi fedeli - difatti celiamo nelle pieghe e nelle fessure della nostra umanità. Gesù, permettimi allora di dirTi subito che quel 3 ottobre dello scorso anno a Lampedusa ci hai colto veramente di sorpresa. Io, noi, fieri del nostro passato di religiosità, fino a quel momento pensavamo, come Simon Pietro e gli apostoli, di non vacillare nella fede, di non essere capaci di rinnegarti, tanto più di tradirti o dall’esserTi indifferenti invece devo dirti che io per primo mi sono sentito frastornato e impaurito – lo sai – sul molo dell’isola, davanti ai sacconi blu che contenevano le salme e davanti a quell’immensa folla di bare. Sono state le lacrime dei poliziotti - ammette don Franco - e dei soldati a farmi pensare che anche tu, in quel momento, come davanti alla tomba di Lazzaro, piangevi per quei morti. Ma ciò che mi è sembrato stonato in quelle ore è che all’indignazione e allo sgomento si andavano mescolando, anche da parte di buoni cristiani, ingannevoli giudizi e pesanti condanne nei riguardi dei morti del naufragio e dei sopravvissuti, senza minimamente interrogarsi se c’era qualche nostra responsabilità in quella storia di morte e di sofferenza. Abbiamo deciso che se c’era un responsabile di tutto eri tu! I nostri cuori chiusi all’accoglienza, per noi, non sono un problema. 'Dov’è Dio? Forse dorme?' Più o meno suonavano così le domande dei molti improvvisi pubblici ministeri di allora e di oggi, un po’ figli – per la verità – degli Anna e dei Caifa di ieri. Molti hanno trovato allora – ma anche ora – un’unica giusta (almeno per loro) soluzione, buona per chiudere e non affrontare il problema: rimandare indietro gli immigrati. Come se quelle donne e quegli uomini fossero dei pacchi non graditi da rinviare al mittente, e non uomini sofferenti e solo desiderosi di una vita più sicura e dignitosa! Molti di quei cadaveri, tu lo sai Signore, sono stati trovati con in bocca una croce o una medaglietta".

L'arcivescovo di Agrigento non dimentica il flusso di migranti che in queste settimane ha colpito Agrigento: "A noi che Ti chiediamo: 'Dov’eri quella mattina? Dove dobbiamo cercarti ora?' rispondi: 'Quel giorno ero lì. In acqua con loro. Ora sono tra coloro che sbarcano dalle navi militari. Ma voi, piuttosto, dove mi cercate? È vero che sono nelle chiese, ma riuscite a riconoscermi lungo le strade e le piazze della vostra Agrigento? Mi avete visto infreddolito, avvolto solo da una coperta, steso per terra presso la stazione? Ma ditemi, accettate davvero tra voi i miei poveri? Stasera torno a chiedervi: 'Dov’è tuo fratello?'. Signore, -  spiega don Franco - sai, stai ripetendo la stessa tremenda domanda che papa Francesco ci ha rivolto venendo a Lampedusa. Risuona ancora forte dentro di noi e io e la mia gente sappiamo che non possiamo trovare scuse, dobbiamo cercarti, trovarti e riconoscerti lungo le nostre strade, così come facciamo nelle nostre chiese'".

"Signore Gesù, è vero, a furia di non voler vedere i poveri, stiamo diventando miseri. Quante menzogne, quanta disinformazione, quante chiusure meschine e persino calunnie si spargono dai circoli ai bar, dai pub ai blog. Gli immigrati sono diventati i nuovi bersagli del nostro egoismo: ‘Perché vengono qui? – sento ripetermi – Ma non c’è posto e lavoro per noi, figurarsi per loro’. A pensarci, anche per Te, Signore, non ci fu posto a Betlemme. Anche Tu e Giuseppe, molto festeggiato da queste parti, ma solo per un giorno, conosceste la migrazione per lavoro e per sfuggire al potere di Erode. Non li vogliamo, poi, però, ci serviamo di loro, li sfruttiamo e li paghiamo male, se li paghiamo. Ho sentito dire anche 10 euro per 12 ore di fatica".

L'arcivescovo di Agrigento, non smette di rivolgersi ai giovani: "L’indifferenza e la noncuranza ci fanno vivere in stato di anestesia e si moltiplicano le paure. Cresce l’arroganza, la prepotenza, serpeggia il rancore e, soprattutto tra le nuove generazioni, c’è una corsa all’auto distruzione: alcool e droghe. Aumentano le scommesse, sempre più gente resta incantata dinanzi a un video giochi e fa incetta di 'gratta e vinci', impoverendosi. Lo smarrimento è diventato nostro coinquilino o dirimpettaio. La prepotenza apre la strada alle tante forme di violenza, mafiosa e no. C’è poi l’usura e le estorsioni, opera di sanguisughe umane che non solo dissanguano riducendo uomini e donne a larve disperate, che soffocano la nostra economia".

Don Franco, nel suo consueto discorso, non dimentica i carcerati del Petrusa: "Signore, però non voglio, né posso dimenticare in questo momento i fratelli carcerati di contrada Petrusa e di Sciacca. Sono stato ieri a trovarli. Signore, fa tornare al nostro cuore e alla nostra mente le tue parole: ero in carcere e siete venuti a trovarmi".

In conclusione l'arcivescovo di Agrigento parla così: "Dacci una mano, Signore Gesù, perché la nostra Agrigento diventi la 'locanda del Buon Samaritano', la 'trattoria della convivialità delle differenze', la' casa del diritto e della giustizia', l’avamposto terreno della Pasqua".

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