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Giovedì, 25 Aprile 2024
L'inchiesta

Niente depurazione e frode sul canone: ecco su cosa ha puntato la Procura nella richiesta di 47 rinvii a giudizio

I pm si sono soffermati in particolar modo sugli impianti di Licata, Villaggio Mosè, Favara, Raffadali, Montallegro, Siculiana, Realmonte, Porto Empedocle, Cattolica Eraclea, Agrigento-Sant'Anna, Canicattì, Agrigento-Fontanelle, Casteltermini, Castrofilippo e Ravanusa

E' anche sugli impianti di depurazione e sul conseguente inquinamento ambientale, nonché sulla frode agli utenti per la mancata depurazione e sulle tariffe applicate che la Procura di Agrigento ha, fra le altre accuse, focalizzato l'attenzione nella richiesta di rinvio a giudizio, fatta al gip, per 47 degli indagati dell'operazione "Waterloo" di Dia, Guardia di finanza e carabinieri. 

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Impianti di depurazione e inquinamento 

Il pool di pm ha evidenziato come, per gli impianti di depurazione, gli indagati Marco Campione, Giuseppe Giuffrida (classe 1948), Giandomenico Ponzo, Francesco Barrovecchio e Calogero Sala "non abbiano provveduto all'attivazione, prevista da convenzione, di tutti gli impianti; non hanno provveduto alla realizzazione degli allacci dei centri abitati non raggiunti dalla rete idrica che va agli impianti; non hanno provveduto al calcolo degli allacci e dei volumi effettivamente erogati; non hanno provveduto al completamento della struttura degli impianti (mediante la realizzazione della prevista condotta sottomarina, prevista e mai realizzata a Licata e Realmonte, rotta e dunque inutile a Porto Empedocle); non hanno provveduto alla ordinaria manutenzione degli impianti con riferimento alle attività di sorveglianza e monitoraggio, di pulizia vasche, di estrazione e smaltimento dei fanghi". Stando all'accusa formalizzata dalla Procura, "al contrario" sarebbero stati "lasciati operare gli impianti attraverso macchinari talvolta assenti, altra non funzionanti e comunque insufficienti all'esercizio; realizzando o mantenendo la permanenza di bypass naturali o artificiali volti a deviare il refluo in entrata all'impianto, in modo da ridurre il carico del depuratore, ma causando uno sversamento illecito sul suolo e sul corpo recettore; realizzando un deposito incontrollato di fanghi all'interno delle stesse vasche di depurazione da cui i fanghi non venivano estratti o nei pressi di esse dove venivano deposti all'interno di grosse buche praticate sul suolo o in big bags che venivano accatastate per anni". Ed ancora - stando sempre alle accuse formulate dai pm - "consentendo ai fanghi presenti nelle vasche, quali quelle di sedimentazione, di fuoriuscire sino al collettore in uscita dall'impianto unendosi al refluo depurato, nullificando il trattamento depurativo e attuando un illecito smaltimento; utilizzando al fine di dissimulare la carica batterica e gli indici di contaminazione cloacale dei reflui e dei fanghi da essi prodotti, additivi chimici in grado di alterarne la natura in modo da renderli rifiuti speciali che, comunque, conferivano in mancanza dei dovuti controlli". 

La Procura si è soffermata - nella richiesta di rinvio a giudizio inoltrata al gip - in particolar modo sugli impianti di depurazione di Licata, Villaggio Mosè, Favara, Raffadali, Montallegro, Siculiana, Realmonte, Porto Empedocle, Cattolica Eraclea, Agrigento-Sant'Anna, Canicattì, Agrigento-Fontanelle, Casteltermini, Castrofilippo e Ravanusa.

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Frode sulla depurazione 

In merito alla frode agli utenti sulla depurazione, la Procura è tornata a scrivere: "con più condotte consecutive di un medesimo disegno criminoso con artifizi e raggiri consistiti nel fare apparire, indicandolo quale servizio realizzato, in bolletta un adeguato trattamento delle acque reflue finalizzato alla riduzione del carico inquinante, dando - scrivono i pm - altresì la parvenza della sua realizzazione tramite interventi non risolutivi, documenti non veritieri e manutenzioni fallaci, ma in realtà disattendendo del tutto agli obblighi previsti nella convenzione sulla gestione, continuando tuttavia ad inserire tra le voci delle bollette emesse nei confronti dell'utenza dei Comuni, nel quale il servizio era del tutto assente, i costi relativi all'intero canone di depurazione, inducendo in errore gli utenti privati e pubblici che pagavano un corrispettivo pari all'intero canone di depurazione per un servizio che, per buona parte, - concludono i pm - non veniva erogato, procurandosi così un ingente e ingiusto profitto".  

 

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